La Città Ricca Sorta ai tempi della fondazione di Babilonia, Samarcanda (letteralmente "Città ricca" ) è una delle città più antiche del mondo. Secondo la tradizione fu fondata, circa 5000 anni fa, da un re di nome Afrasayib su un'oasi irrigata dai canali del fiume Zeravsan. I Greci le dettero il nome di Maracanda. A quell'epoca la città, già assai nota, era la capitale della Sogdiana, parte dell'impero achemenide persiano. Durante la sua campagna di conquiste Alessandro Magno, re di Macedonia, vi entrò, nel 329 a.C., incorporandola nel suo impero. E' qui che il giovane condottiero prese in moglie Rossane ed è qui che egli, ubriaco, uccise il suo migliore amico, Clito, reo di avergli ricordato quanto relativa fosse la sua grandezza. I retaggi di quell'invasione sono ancora dovunque. Alessandro, infatti, viene ancora ricordato in questa regione con il nome di Iskander Khan e la città di Termez, al confine con l'Afganistan, porta ancora il nome che le dettero i soldati macedoni. Sulle montagne del Pamir e del Karakorum ci sono dei villaggi la cui popolazione è convinta di discendere direttamente da quei greci invasori (nel Nord del Pakistan esistono due tribù, gli Hunza e i Kalash, che hanno tratti somatici tipicamente europei, come pelle chiara, occhi azzurri e verdi, capelli il cui colore varia dal giallo granturco al nero corvino. Essi ritengono, per tradizione, di avere tra i loro antenati i soldati macedoni che colonizzarono quella terra). Nei secoli di decadenza che seguirono al rapido smembramento dell'impero macedone la città cadde nella sfera d'influenza cinese. Verso la fine del VII° sec. d.C. nuove invasioni spazzarono via le antiche credenze zoroastriane e imposero l'Islam, che dette alla città e alla popolazione un'impronta religiosa e culturale ancora oggi avvertibile. Seguì una fioritura affermatasi, dopo la sua elezione a principato turco, verso l'anno Mille, sotto il governo della dinastia persiana dei Samanidi. In questo periodo fu visitata da diversi viaggiatori europei che percorrevano la Via della seta (fu ampiamente menzionata da Marco Polo nel Milione, cha la definì "città nobile e grande"). Nel 1141 la città, a quel tempo governata da un Khan vassallo del Re di Persia, e la regione circostante, denominata Transoxiana, furono teatro di un aspro combattimento che contrappose il sultano selgiuchide di Persia Sanjar al condottiero cinese Yeh-lu Ta-shih, capo supremo del regno di Kara Khitai ("Catai Nero"). Costui, fuggito dalla Cina in seguito al declino della dinastia Liao, sottomise diverse tribù turche dell'Asia Centrale fondando il regno suddetto. Nella battaglia che avvenne a Samarcanda i Selgiuchidi subirono una terribile sconfitta. L'evento determinò la fine dell'impero selgiuchide che, dopo la morte di Sanjar, si frantumò in diversi stati, e decretò il trionfo di Yeh-lu Ta-shih, che fondò un impero, esteso anche in Transoxiana, che durò fino al 1211 (l'eco delle sue gesta giunse fino in Occidente e, forse, la sua figura influenzò ed alimentò la leggenda medievale del Prete Gianni). Il vero disastro, tuttavia, avvenne all'inizio del secondo decennio del XIII° secolo, quando Gengis Khan, capo mongolo, imperversava per tutta l'Asia con il suo esercito, conquistando e distruggendo tutto quello che trovava. In quell'epoca Samarcanda era la capitale del regno di Khwarizm, che si estendeva fino al Mar Caspio comprendendo parte dei moderni Afghanistan e Iran. Quando il condottiero mongolo inviò in dono a Muhammad, sovrano di questo vasto impero, giada, avorio, oro e lana di cammello, per tutta risposta costui ordinò di massacrare la carovana di mercanti e l'ambasciatore mongolo al seguito, sospettando che fossero delle spie. Assetato di vendetta, nel 1220 Gengis Khan raggiunse e assediò Samarcanda, radendola al suolo e riducendola in macerie. Essa Rimase in rovina per 150 anni. Sul finire del XIV° sec. fu rifondata e ricostruita dal conquistatore turco-mongolo Timur Lang (Tamerlano, lo "sciancato di ferro"), che la pose come capitale del suo impero. Costui era nato nel 1336 nei pressi di Samarcanda (precisamente a Kesh, in Transoxiana) e si vantava di essere discendente diretto di Gengis Khan. Si era insediato, infatti, come sovrano della stirpe dei Khan Chagatai, una dinastia originata dal secondogenito del grande capo mongolo. Era alto e ben fatto, ma zoppicava da una gamba, da cui il nome. Come il suo presunto antenato era potente e spietato. Intraprese una serie di campagne militari, dal Mar Nero alla Valle dell'Indo, saccheggiando città, villaggi e massacrando intere popolazioni. Non provava compassione per i prigionieri: salvava la vita solo ad artigiani e artisti. Sotto il suo regno (e quello dei suoi discendenti, i timuridi) Samarcanda conobbe un periodo di grande splendore e rinascita. In ogni città conquistata Tamerlano sceglieva i migliori intellettuali e artisti, inviandoli nella capitale. Da Delhi, Shiraz, Isfahan e Damasco vennero vasai, muratori, scultori e musicisti. Questi uomini trasformarono Samarcanda in una città elegante, con cupole scintillanti e superbi minareti, una capitale degna di un'impero. Tutte le superfici vennero ricoperte con vivaci piastrelle smaltate secondo schemi a mosaico, che riflettevano la luce facendo brillare la città come un gioiello. Tamerlano morì a Otrar nel 1405 in seguito ad una malattia contratta mentre si accingeva ad invadere la Cina. Il suo corpo fu riportato a Samarcanda e ivi deposto e seppellito con tutti gli onori, ma fiorì una leggenda secondo la quale se il suo cadavere fosse stato disturbato nella tomba, il mondo sarebbe stato colpito da sventure immani. Nel 1941 fu permesso ad uno scienziato russo, il prof. Gerasimov, di riesumare il corpo. Per evitare le reazioni della gente Gerasimov ed i suoi assistenti aprirono le tombe di notte. Il cranio di Tamerlano, dopo 500 anni di oscurità, fu esaminato dal gruppo di ricercatori. Il giorno dopo l'intero paese venne colpito dalla notizia che Hitler aveva invaso l'URSS e che le armate tedesche stavano avanzando su Leningrado, Kiev e Mosca ... Alla morte di Tamerlano seguì una lotta per il potere durata quattro anni, finchè Shah Rukh, suo figlio minore, assunse il controllo del potere e nominò il proprio figlio, Ulug Beg, governatore di Samarcanda. Nel 1447 Ulug Beg salì al trono. Il nuovo imperatore, un uomo studioso e raffinato, continuò ad abbellire la città. Sotto il suo regno Samarcanda diventò uno dei più importanti centri culturali dell'epoca. Egli vi fece costruire un Seminario, convocò i più illustri intellettuali della città nel suo grande Osservatorio, dotato della più avanzata attrezzatura tecnologica per l'osservazione del cielo. Ma con l'assassinio di Ulug Beg, decapitato nel 1449, la città iniziò a declinare, parallelamente al progressivo calo d'importanza commerciale della Via della seta. Caduta nuovamente al rango di anonima città centro-asiatica, la città diventò sempre più vulnerabile agli attacchi dell'Orda d'oro, un gruppo di tribù turco-mongole, finchè, all'inizio del 1500, non cadde sotto il controllo definitivo di una di queste tribù, quella degli Uzbeki. Nel diciottesimo secolo la città accelerò il suo declino. A partire dal 1720 rimase disabitata per 50 anni. Nel 1868, fu annessa all'impero russo degli zar. Come capitale di provincia, con l'arrivo della ferrovia nel 1896, Samarcanda ricominciò una lenta ripresa economica. La Rivoluzione bolscevica del 1917 ne face la capitale della Repubblica sovietica dell'Uzbekistan fino al 1930, quando venne sostituita da Tashkent. Oggi la città, pur facendo parte dell'Uzbekistan (divenuto Stato indipendente), è abitata in prevalenza da gente di nazionalità tagika (di origine persiana) che convive con la minoranza uzbeka (di origine turca) ed altri gruppi minori (ebrei, russi ecc.). Per questo motivo il possesso della città è apertamente rivendicato dalla vicina repubblica del Tagikistan, divenuta anch'essa indipendente. La Testa dell'Islam Da quando, nel 1369, Tamerlano fece di Samarcanda la capitale del suo regno, un cumulo di macerie cominciò a trasformarsi in leggenda. Da quel momento un miraggio di cupole azzurre, svettanti minareti, palazzi color turchese risplendenti tra le profonde e desolate valli montuose dell'Asia centrale, coltivarono la fantasia e i sogni di ogni viaggiatore. Samarcanda divenne e rimase un simbolo dell'inaccessibile misticismo orientale. Poeti e scrittori europei, come Marlowe, Milton e Goethe, avrebbero introdotto e immortalato il magico nome della città nei loro versi, come per evocare un'atmosfera d'incanto e meraviglia. Nonostante la sua brutalità, alla dinastia timuride, fondata da Tamerlano, si deve lo straordinario rifiorire artistico ed intellettuale di Samarcanda tra il XIV° e XV° secolo, periodo in cui furono dati importanti contributi all'architettura islamica e alle scienze astronomiche. Ancora oggi i monumenti di Tamerlano mantengono colori e aspetto degni di un pavone. Essi evocano i giorni in cui arrivavano qui carovane di cammelli cariche di merci provenienti da tutta l'Asia. Al culmine della sua importanza commerciale da Samarcanda passava oltre la metà delle merci trattate in tutto il continente. All'ombra del porticato i mercanti vendevano pelli e stoffe provenienti dalla Russia, chiodi di garofano indiani, seta e diamanti giunti dalla Cina. L'antica Via della seta attraversa tutt'oggi Samarcanda da Nord a Sud. E' l'arteria principale della città, oggi denominata Tashkentskaia, che congiunge il mercato al complesso della piazza centrale, il Registan ("Campo di sabbia"), su cui sorgono le tre grandi Madrase (antiche scuole coraniche) di Ulug Beg, Shir Dor e Tillya Kari: l'ampiezza, la monumentalità e l'armonia del complesso creano, in questa piazza, una delle più belle scenografie nate dalla cultura architettonica dell'Asia centrale. Questa vecchia piazza, una volta coperta di sabbia rossa, era un tempo un affollatissimo e vivacissimo bazar, descritto dai viaggiatori come uno dei più colorati dell'Asia. Oggi la piazza è lastricata ed accessibile solo ai turisti. La passione di Tamerlano e dei suoi discendenti per l'azzurro ed il turchese è evidente soprattutto nei rivestimenti esterni che caratterizzano le imponenti costruzioni che circondano la piazza. La madrasa di Ulug Beg dominò incontrastata lo scenario fino al XVII° secolo, quando gli Uzbeki aggiunsero gli altri due edifici ai lati della piazza. Questa prima madrasa, chiamata Seminario di Ulug Beg, fu tra i più noti istituti islamici e tra le più importanti scuole religiose dell'epoca. Fu fatta costruire tra il 1417 ed il 1420 da Ulug Beg, nipote e successore di Tamerlano, quando Samarcanda era un centro scientifico e culturale di grande fama: vi si studiavano la teologia, la matematica e l'astronomia. Lo stesso Ulug Beg, insigne matematico ed astronomo, vi insegnò queste due ultime materie. La sua facciata è caratterizzata da un arco classico e decorata da stelle dorate sullo sfondo si un cielo azzurro. La Madrasa Shir Dor ("portatrice del leone"), completata nel 1636, è nata anch'essa come scuola religiosa. L'arco del suo portale è racchiuso tra due timpani. Essa è ornata di splendide decorazioni policrome di ceramica invetriata e di mosaici. Nei cortili interni sono visibili le celle in cui studiavano gli allievi del seminario e, al primo piano, si può accedere ai dormitori. La Madrasa Tillya Kari ("decorata con oro") è la madrasa "ornata d'oro". La sua costruzione fu iniziata, sul lato nord della piazza, dieci anni dopo l'edificazione di Shir Dor. Il suo interno luccicante è realmente decorato in oro: innumerevoli scritte in arabo, dipinte con tinte durevoli, ne rivestono le pareti. Poco lontano da piazza Registan sorge la grande moschea di Bibi Khanyum, moglie di Tamerlano e figlia dell'imperatore della Cina. Il racconto delle sue origini si è confuso con la leggenda. La tradizione narra che durante la spedizione di Tamerlano in India, Bibi Khanyum, sua sposa preferita, aveva concepito per lui un dono monumentale. A tal fine aveva donato ad un architetto persiano di Mashad tutti i suoi gioielli affinchè realizzasse in breve tempo questa costruzione. Questi, tuttavia, aveva ritardato i lavori perchè nel frattempo si era innamorato di lei. Egli minacciò di non finire in tempo la costruzione se la donna non gli avesse almeno permesso di darle un bacio sulla guancia. Secondo la storia Bibi, preoccupata che il marito tornasse e che la costruzione non fosse terminata consentì all'architetto di baciarla fugacemente. Si narra, tuttavia, che il bacio fu così focoso che rimase la sua impronta indelebile sulla guancia della donna. Così conciata ella non avrebbe certamente potuto presentarsi a Tamerlano. Ebbe allora un'idea brillante: si coprì la faccia con un velo e ordinò a tutte le donne della città di fare lo stesso. Al rientro del conquistatore, tuttavia, la trama fu scoperta e l'architetto, minacciato di morte, riuscì a sopravvivere e a sfuggire alla cattura solo grazie alle ali che Dio gli donò quando, in fuga dai soldati, si rifugiò in cima al minareto della moschea. Da allora in poi, si dice, tutte le donne furono costrette a coprire per sempre il volto con un velo: il chador. In realtà è attestato che la costruzione della moschea ebbe inizio nel 1399, dopo il rientro di Tamerlano dalla spedizione indiana, e che fu egli stesso ad ordinarne l'edificazione. Per cinque anni 200 carpentieri, 500 manovali e 95 elefanti faticarono senza sosta per innalzarne la struttura. L'edificio si articolava in quattro costruzioni circondate da mura e sorrette da 400 colonne di marmo che si ergevano nel cortile. Negli ultimi due secoli essa è rimasta danneggiata da un terremoto e dalle cannonate dei russi che occuparono Samarcanda nel 1868. Oggi, dopo decenni di incuria sotto il regime comunista, sono rimasti in piedi solo le gigantesche nervature e lo scheletro del complesso, ma la cupola ed il portale alto 18 metri costituiscono uno dei più interessanti spettacoli della città. Nel cortile d'ingresso della moschea c'è un grande leggìo di pietra. Qui veniva un tempo posato un grande specialissimo Corano: il più vecchio del mondo, tutto rilegato in oro e del peso di trecento chili. Era il Corano che Osman, genero di Maometto e terzo successsore del Profeta, stava leggendo quando venne assassinato. Quando i russi invasero Samarcanda lo portarono a San Pietroburgo. Qualche anno fa le autorità russe hanno restituito il libro alla Chiesa islamica dell'Uzbekistan. Attualmente esso si trova a Tashkent. Proseguendo lungo la Tashkentskaia si sale al colle su cui sorgeva, prima dell'invasione di Gengis Khan, l'antica medina di Samarcanda, Afrasiab, oggi sede di importanti scavi archeologici. All'estremo lembo nord-est della città sorge, sul colle di Chupanata, il grande Osservatorio di Ulug beg. Il colle su cui esso si trova fu meta, secondo una leggenda, dei primi missionari musulmani venuti in Asia cantrale. Essi avevano appena finito di bollire i pezzi di una pecora quando decisero di fermarsi qui per decidere del loro futuro.. Pescando a caso dalla pentola la testa dell'animale uno decise di restare a Samarcanda, un altro, avendo pescato il cuore, capì che doveva andare alla Mecca. Il terzo, infine, pescò le zampe posteriori e andò a Bagdad. Da allora Samarcanda, con le sue scuole coraniche, fu conosciuta come la "Testa dell'Islam". L'Osservatorio venne eretto tra il 1428 ed il 1429 per diventare un centro importante nella storia della scienza medievale. Secondo la descrizione del sovrano turco Zahir al-Din Mukhammad, fondatore dell'impero moghul in India, l'osservatorio era una costruzione circolare, del diametro di 46.4 metri, alta 30 e disposta su tre piani, con una sontuosa facciata di piastrelle in ceramica. Esso era sormontato da una cupola, sotto la quale era stata praticata una piccola apertura per l'osservazione strumentale. L'Osservatorio era collocato in parte sottoterra e funzionava per mezzo di un sistema di specchi. Molte sue sale interne erano occupate da biblioteche e laboratori. La magnifica e maestosa struttura custodiva al suo interno l'enorme Sestante di marmo, con raggio di 40 metri circa, che veniva usato per osservare la posizione del Sole, della Luna e dei pianeti. Un esercito di operai asportò tonnellate di roccia per creare la base di questo strumento, il più importante dell'osservatorio. Del Sestante, ospitato in un edificio di 30 metri d'altezza con uno scavo sotterraneo di 10 metri per accoglierne la parte inferiore, è rimasta solo la parte collocata sotto la linea dell'orizzonte, dell'altezza di 11 metri, incastonata in un fossato. In questo profondo canale due archi paralleli di mattoni poggiavano su una base di alabastro. La parte superiore degli archi era ricoperta di piastrelle di marmo e vi erano incise sopra delle tacche corrispondenti ai minuti e ai secondi utilizzati nella misurazione delle posizioni dei corpi celesti. La luce dell'astro, proveniente dall'apertura praticata sul tetto, raggiungeva l'osservatore appostato lungo la scalinata racchiusa tra i due archi. Una striscia di ottone, su ciascun lato dei gradini, recava la scala graduata. L'astronomo, guardando attraverso il foro di rilevamento del cursore dello strumento (scorrevole lungo la scala), poteva così osservare e misurare la posizione del corpo celeste nel punto della sua culminazione (quando esso era visibile sia attraverso il foro del tetto, sia attraverso il foro di rilevamento del cursore). Il resto delle apparecchiature, poste a corredo del Sestante, era impressionante per dimensioni, come per esempio un enorme triangolo, detto regolo parrallattico (adoperato per osservare la Luna e misurare il suo angolo di parallasse. Grazie ad esso venne calcolata la distanza tra la Terra e la Luna) ed una sfera armillare di 2 metri di diametro (costituita da un insieme di cerchi d'ottone, rappresentanti l'equatore celeste e le costellazioni dello Zodiaco, rotanti attorno al polo celeste), per effettuare rilevamenti molto accurati. Una sfera di strumenti segnatempo completava la dotazione dell'osservatorio: astrolabi per misurare l'elevazione del Sole, della Luna e delle stelle, clessidre e meridiane. Le enormi proporzioni degli strumenti diedero luogo a osservazioni di alta precisione. Vennero determinate le posizioni di 1018 stelle e calcolati i movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti. Ulug Beg in persona eseguì gran parte di questi studi e ricerche che raccolse in un catalogo. Eglì calcolò, tra l'altro, l'anno celeste, il periodo di rivoluzione della Terra attorno al Sole, in 365 giorni, 6 ore, 10 minuti e 8 secondi, con un'approssimaziome di meno di un minuto rispetto al valore oggi misurato (365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 9.6 secondi). Con questi dati preziosi venne creata la Zij-i-Gurkani, la prima dettagliata carta astrale, completata nel 1437. L'osservatorio fu saccheggiato e raso al suolo nel 1449, quando Ulug Beg fu fatto assassinare, su istigazione del figlio Abd al-Latif, dal fanatico clero islamico che nelle scoperte scientifiche del sovrano vedeva poste in pericolo le proprie credenze religiose. I 15.000 volumi della sua biblioteca e le tavole stellari da lui compilati furono messi in salvo dagli studenti dispersi. Fortunatamente quasi tutti i suoi scritti furono trafugati da un suo allievo, Mohamed Taragai, che riuscì a trasferirli in Turchia. Da lì le opere di Ulug Beg furono portate ad Oxford, in Inghilterra, dove nel 1665 vennero tradotte in latino. Il luogo in cui l'osservatorio era rimasto sepolto rimase un mistero per secoli. Solo nel 1908, dopo anni di ricerche, se ne ritrovarono le tracce (fu riscoperto dall'archeologo russo Vasilij Viatkin) e iniziarono i lavori per riportarlo alla luce. Il complesso dei mausolei Shakh i Zindah (la "necropoli del re vivente") sorge a Sud del colle Chupanata. Esso era già frequentato, fin dall'XI° sec., come luogo di pellegrinaggio, in quanto ospitava la tomba di Qasim ibn Abbas, presunto cugino del profeta Maometto, che aveva convertito la regione all'Islamismo. Una leggenda narra che costui, venuto a combattere gli infedeli, fosse catturato e decapitato. Ma lui non se ne fece un problema. Raccolse la testa appena mozzata, se la mise sotto il braccio e si infilò in un pozzo che era lì vicino. Il pozzo è sempre là e la gente dice che il Re Vivente è ancora laggiù che dorme in attesa di riprendere la sua guerra contro gli infedeli. Grazie alla presenza di questo "Santo dormiente" il suo santuario è stato per secoli meta di pellegrinaggi per i musulmani di tutto il mondo. Persino Gengis Khan, secondo una tradizione uzbeka, era rimasto impressionato dalla storia e quando arrivò a Samarcanda una delle prime cose che fece fu di mandare due dei suoi uomini in fondo al pozzo per verificare se laggiù ci fosse qualcuno che dormiva. I due tornarono su accecati... La necropoli venne ricostruita nel XIV° secolo da Tamerlano come complesso di moschee e tombe per i parenti e gli amici. Il portale d'ingresso fu fatto edificare da Ulug Beg tra il 1434 ed il 1435. I mausolei erano decorati con le piastrelle più scintillanti e raffinate e disegni a mosaico ornavano le tombe più importanti, come quella di Shirin Bika Aqa, sorella prediletta di Tamerlano. La zona superiore della necropoli è percorsa da un lungo corridoio aperto detto via dei mausolei. Tra le tombe che vi si affacciano quelle di Tugdu Tekin e di Shiriubeg portano le date precise della loro fondazione: 1376 e 1385. Composizioni ornamentali in ceramica, mosaici di prima scelta, intarsi in avorio e pietre preziose, complessi motivi geometrici in policromia, motivi vegetali, iscrizioni a carattere religioso e storico, pitture murali con rappresentazioni di animali e paesaggi, fanno di Shakh i Zindah un unico museo delle migliori opere artistiche della Samarcanda del XIV° e XV° secolo. Dalla piazza Registan, in direzione sud-est, si giunge a ridosso di altri due mausolei: Iskhrat Hana e Adbi Darun, entrambi del XV° secolo. Lungo il viale Maksim Gorkij sorgono, invece, i mausolei Rukhabad (XIV° sec.) e Aksarai (XV° sec.). Domina, nella stessa zona, l'alta costruzione del mausoleo Gur Emir ("la tomba dell'emiro"), costruito anch'esso su ordine di Tamerlano (1404). Secondo la leggenda il conquistatore, insoddisfatto della sua altezza, ne avrebbe ordinato la demolizione per farne costruire un altro in due settimane. Monumentale e solenne, il mausoleo è uno splendido esempio di architettura medioevale centroasiatica. Esso è costruito su una pianta ottagonale coperta di mattoni, sormontata da un tetto su cui si erge un tamburo decorato che regge un'elegante cupola a spicchi rivestita di maiolica azzurra e tegole color turchese. Si dice che Tamerlano fosse rimasto così colpito dalla cupola della moschea di Damasco che volle prenderla come modello per quella del Gur Emir. Lo stile continuò ad essere utilizzato dai suoi successori uzbeki, mentre l'uso della cupola iniziò a diffondersi a Nord verso la Russia e a Sud verso l'India. All'interno della struttura si trovano i sarcofaghi di Tamerlano (nero) e quelli dei figli e nipoti (bianchi), tra cui quello di Ulug Beg. Una strana luce, riflessa dalle pareti di onice, avvolge la grande cripta sotterranea. I colori dominanti sono il bianco e il grigio su cui spiccano le decorazioni geometriche in giallo e turchese. Una solenne iscrizione recita:
"Questo è il luogo dove riposa il più illustre e generoso monarca, il più grande sultano, il più potente guerriero, l'emiro Tamerlano, conquistatore di tutta la terra" La grande pietra posta da Ulug Beg sulla tomba di Tamerlano è la lastra di giada più grande del mondo e proviene dal Turkestan cinese. Nel 1941 le tombe furono aperte per verificare, attraverso studi antropometrici, l'autenticità dei cadaveri sepolti. Quando gli esperti, guidati dal prog. Gerasimov, analizzarono i resti, le storie tramandate di generazione in generazione si rivelarono esatte: Tamerlano era davvero stato zoppo e ad Ulug Beg era stata davvero tagliata la testa. Samarcanda non fu adornata solo con mattoni e calce. Nei dintorni della città Tamerlano creò una serie di giardini con nomi affascinanti come Bagh-i-Dilgusha ("Giardino della delizia del cuore"). Artisti mesopotamici e persiani adornarono le mura esterne con caramiche di Kashan, mentre architetti e artisti siriani ricoprirono muri e pavimenti con disegni assai precisi ed intricati. I giardini racchiudevano palazzi con pareti talvolta coperte di seta e ornamenti di lustrini argentati e smeraldi. La Città Sacra Da Samarcanda, proseguendo ad ovest lungo la Via della Seta, si giunge a Bukhara. La data della sua fondazione non è nota. L'origine del nome proviene forse da Bikhara, che significa "convento". Nel VI° sec. a.C. la città fu conquistata dai Persiani, che vi importarono lo Zoroastrismo, e rimase sotto il loro dominio fino al IV° secolo, quando venne invasa dalle truppe macedoni di Alessandro Magno. I greci si insediarono a 40 Km. da Bukhara, su una collina chiamata Kisil Kir, dove recentemente sono state trovate delle spade greche. Poco distante da qui, ad Urgut, Alessandro fece sposare 500 dei suoi soldati con altrettante donne locali. Dalla fine del I° sec d.C. alla metà del IV° sec. la città entrò a far parte del regno di Kushan, uno dei più grandi stati centroasiatici dell'epoca. Nel VI° secolo arrivarono i Turchi mentre, nel 709, cadde sotto il dominio arabo (La città fu assediata da 24.000 uomini). Gli Arabi imposero la loro lingua e religione, soppiantando l'antico culto zoroastrico. Dal IX° al X* secolo Bukhara fu eletta capitale del regno dei Samanidi, il cui stato feudale occupò quasi interamente il territorio centroasiatico. A partire da questo periodo ebbero notevole sviluppo, nella regione, il commercio, le arti, gli studi religiosi e le scienze. Poeti come Rudaki, Firdusi e Dakiki, storici come Narshakhi, al Belazuri, at Tabari, ibn Miskaveikh e, soprattutto, Abu Ali Khussein Ibn Sina (detto Avicenna), filosofo, scienziato, medico e poeta di grande fama, dettero lustro alla città e ne ricevettero gli onori. "Se Samarcanda è la bellezza della terra, Bukhara è la bellezza dello spirito", affermava un antico motto tagiko. In effetti ancora oggi, ogni volta che si parla di Bukhara, la gente del posto accompagna spesso il suo nome con l'aggettivo sharif, ovvero "sacra". In questo periodo "aureo" furono costruiti anche i più splendidi monumenti della città: il mausoleo dei Samanidi ne è una testimonianza giunta fino ai giorni nostri. Nel 1220 arrivarono i mongoli di Gengis Khan, che distrussero gran parte del centro abitato. Nel 1263 essi vennero cacciati dai Persiani e Bukhara venne messa a ferro e fuoco una seconda volta. Il periodo successivo, caratterizzato dal dominio di Tamerlano, che trasferì la capitale a Samarcanda, accomunò la sua storia a quella delle altre città dell'Asia centrale fino al XVIII° secolo. Seguì una fase convulsa, segnata dalle continue discordie tra i regni di Kokan Khiva. Quello di Bukhara (emirato) sopravvisse fino al 1920, anno in cui la Rivoluzione bolscevica mise in fuga Said Alim Khan, ultimo emiro di Bukhara, che morì in Afghanistan nel 1947. Egli era stato a capo di uno Stato che si estendeva per 200.000 Km. quadrati e che comprendeva l'attuale Tagikistan, parte del Turkmenistan e dell'Uzbekistan (inclusa Samarcanda). L'attacco comunista avvenne il 2 settembre 1920. La mattina la gente sentì uno strano rumore in cielo e si sparse la voce che degli "uccelli di ferro" volavano sulla città, sganciando bombe sulla fortezza dell'Ark. Le truppe russe, comandate dal generale Michail Frunze, furono aiutate da un piccolo gruppo di rivoluzionari locali, guidati da Faisullah Khojayev. L'assalto pose fine al regno dispotico ed ai capricci di un sovrano che, come niente fosse, ordinava indifferentemente di tagliare la testa ad uno o cento dei suoi sudditi. La città fu occupata dall'Armata Rossa, ma la resistenza contro i comunisti proseguì per un'intera generazione. I bolscevichi non distrussero nessuna delle moschee e nessuno dei monumenti storici, ma ne cambiarono l'uso. La grande moschea Kalian, per esempio, divenne un deposito di scarpe, mentre l'Ark, la vecchia fortezza e residenza dell'emiro, venne in parte trasformata in "museo degli orrori" del vecchio regime e in parte adibita a scuola tecnica. La Repubblica sovietica di Bukhara, costituitasi dopo la caduta dell'emirato, fu unificata a quella dell'Uzbekistan nel 1924. Sotto i nuovi padroni russi la città subì un rapido declino: già nel 1932 essa era cadente e abbandonata all'incuria. Oggi la città fa parte dell'Uzbekistan, resosi Stato indipendente. Anch'essa, come Samarcanda, è fortemente rivendicata dalla vicina repubblica del Tagikistan, in quanto abitata prevalentemente da gente tagika. Il paradiso del mondo Per più di mille anni Bukhara fu considerata equivalente alla Mecca per il suo essere un grande centro di studi religiosi e per il livello intellettuale delle sue madrase, le scuola coraniche. Gli antichi dicevano che, contrariamente agli altri posti del mondo, dove la luce viene giù dal cielo, a Bukhara la luce si alzava dalla città. Gli storici arabi la chiamarono per questo il "paradiso del mondo". La città ha sempre affascinato i viaggiatori. Marco Polo ci si fermò tre mesi, preso dal suo splendore. Per gli avventurieri europei divenne una delle mete più misteriose e irraggiungibili. Le sue biblioteche rivaleggiavano con quelle di Bagdad. Ci visse Avicenna (nato ad Afshana, a 30 Km da qui) che, per essere riuscito a curare il reggente, ebbe accesso ai suoi libri e diventò così uno dei personaggi più colti e geniali del suo tempo. Fu questa l'epoca della grande cultura, dello sviluppo della matematica e dell'invenzione dell'algebra. All'apice del suo splendore (IX° sec. d.C), quando Bukhara era la capitale di un impero che comprendeva gli attuali Uzbekistan e Tagikistan e parte degli odierni Iran e Afganistan, la città vantava 197 moschee e 167 madrase, frequentate da 20.000 studenti provenienti da ogni angolo del mondo mussulmano. A Bukhara c'era anche il più grande bazar dell'Asia centrale. La fortezza dell'Ark domina la parte Nord-Ovest della città ed è il suo più antico monumento. Di pianta irregolare, si estende su una superficie di 4 ettari. Fu residenza dei signori locali, dei capi militari e luogo di prigionia fino al 1920, anno in cui l'emiro fu spodestato. Eretta nel I° millennio a.C., essa venne distrutta e ricostruita più volte. La maestosa facciata dell'ingresso principale risale al XVI° sec. d.C. L'intero edificio è costruito su una collinetta e l'ingresso, attraverso la grande muraglia che lo circonda, è in salita. Un parco è centrato tra le due alte torri laterali e sulla sommità della costruzione, a 20 metri dal suolo, corre una veranda aperta. Oltrepassando i cancelli lignei, una rampa sale internamente sotto una galleria coperta su cui s'affacciano 25 nicchie, alcune delle quali si aprivano su buie, basse e umide celle che ospitavano i prigionieri in attesa di giudizio. Una di esse era adibita alla celebrazione dei riti di un antico culto preislamico in onore di Siyavush, mentre da un altra si accedeva alle stanze private dell'emiro. La prima cosa che si vede, all'entrata, sono le due aperture da cui i condannati venivano buttati nel "Buco Nero", una fossa piena di vermi carnivori. Alla sommità della rampa, brevi scale consentono di salire sui bastioni merlati e sulle terrazze della fortezza. Dall'alto della muraglia si domina la distesa della città, non più circondata dalle sue grandi mura, fatte costruire da Tamerlano. Su una delle terrazze si innalza la moschea invernale, della fine del sec. XVIII°, con galleria esterna (aivan) e colonne lignee dai capitelli elegantemente cesellati. La sala del trono (XVI° sec.), all'aperto, è una vasta piazza rettangolare pavimentata con mattoni e circondata, su tre lati, da aivan con alti colonnati lignei di stile persiano. Per le grandi occasioni il pavimento veniva coperto da un'enorme tappeto rosso (che fu bruciato durante l'attacco bolscevico). Il trono dell'emiro è in pietra e dinanzi ad esso sorge un muro raggiunto il quale i sudditi cui il sovrano dava udienza potevano voltare le spalle dopo aver traversato l'intera piazza retrocedendo con gli occhi rivolti all'emiro. All'uscita della piazza si entra nella sala coperta delle udienze che immetteva alle stanze da letto dell'emiro, mentre quelle delle mogli e l'harem si trovavano nella parte centrale dell'Ark. Sotto le mura occidentali della fortezza si erge la grande moschea di Bolo Khauz (XVIII°- XX° sec.). Il piccolo minareto che vi sorge dinanzi fu costruito all'epoca dei primi restauri del complesso (1914-1917). Degli stessi anni è l'aivan dai colori vivaci che arricchisce la facciata con ampio portale ad arco. La struttura della moschea risale al 1712: fu fatta costruire da Abulfeiz, ultimo esponente della dinastia degli Ashtarkanidi. In direzione della cinta muraria, che per 11 Km correva intorno alla città nel XVI° sec., si giunge al mausoleo dei Samanidi, magnifico esempio dell'architettura classica centroasiatica. Fu fatto costruire nei sec. IX°-X° d.C. dal fondatore della dinastia samanide. Del monumento incanta l'armoniosa semplicità: si tratta di un cubo sormontato da una disadorna cupola semisferica, entrambi costruiti in mattoni. Le proporzioni delle parti sono tali da farne un gioiello e indicano con tutta chiarezza a che punto fossero giunti gli studi d'architettura nella Bukhara dell'epoca, che stava vivendo un periodo di autentico "rinascimento" orientale. I mattoni che costituiscono il rivestimento esterno dell'edificio sono disposti in direzione orizzontale, verticale ed obliqua, in modo tale da creare affascinanti giochi di luce (il colore dell'intera costruzione muta durante il giorno e la notte, al variare dell'inclinazione dei raggi solari e lunari che colpiscono l'arabesco dei mattoni). L'interno, d'estrema sobrietà, è illuminato da aperture praticate sul soffitto. Le tombe dei sovrani samanidi vi furono scoperte nel 1930, quando fu ultimato il lavoro di sterramento dei detriti che arrivavano all'altezza della cupola, nascondendo interamente l'edificio. All'estremo lembo Nord-Ovest della città è situata la Porta di Tolipoch (XVI° sec.) che sta a ricordare l'antico sistema di recinzione cittadina con le sue undici porte d'accesso distrutte nel corso degli anni. Poco distante sorge un complesso, Chashma ayub, all'acqua della cui sorgente, creduta medicinale e sacralizzata dal clero islamico, si dissetano gli infermi sperando in una guarigione. La costruzione, racchiusa tra mura spoglie su una pianta rettangolare, è sormontata da cupole. La madrasa Mir Arab (XVI° sec.), con la sua facciata turrita sormontata da due alte cupole e con mosaici policromi, si erge davanti alla moschea dell'emiro che, con il minareto Kalian e la madrasa, costituisce il complesso monumentale detto PoiKalian ("ai piedi del Grande"), nel cuore della città vecchia. La madrasa Mir Arab era un tempo una scuola coranica famosissima in tutto il mondo mussulmano per l'alto livello dei suoi studi. Solo di recente gli studi hanno ripreso. Si entra dalla sua grande porta in un corridoio ombroso, seguito da un giardino in cui passeggiano gli studenti e su cui si affacciano grandi finestre coperte da grate di ferro. Il minareto, costruito nel 1127, è il monumento architettonico più alto dell'intera Asia centrale. Conosciuto anche come il "Grande minareto", raggiunge i 46.5 metri d'altezza, mentre le sue fondamenta sprofondano nel sottosuolo per altri 10 metri. La leggenda vuole che nel 1220, quando Gengis Khan arrivò al suo cospetto, egli alzò la testa per guardare la cima e, così facendo, gli cadde il cappello a terra. Non avendo mai visto niente di così imponente ordinò ai suoi soldati di non toccare quella struttura che scampò, quindi, alla distruzione. Il minareto è fatto tutto di mattoni cotti cementati assieme da una speciale colla fatta di latte di cammella e tuorlo d'uovo. Ad ogni metro cambia la disposizione dei mattoni, creando l'impressione di un ricamo che muta con l'ascendere verso il cielo. E' un tipo di decoro che assomiglia molto a quello del mausoleo dei Samanidi. Il Kalian era il simbolo dell'antica città e fu anche luogo di esecuzioni capitali quando, durante la dinastia degli emiri manghiti, questi cominciarono a gettare i condannati, rinchiusi in un sacco, dall'alto della torre. Per questo esso fu in seguito ribattezzato dai bolscevichi con il nome di "Torre della morte". Per le carovane il "Grande", visibile anche a grandi distanze, era come un faro e la tradizione voleva che di notte sulla sua cima fosse tenuto acceso un fuoco per aiutare i viaggiatori ad orientarsi nel deserto. Una breve galleria unisce la base del minareto alla moschea Kalian (XV° sec.), la cui semplice ed elegante facciata presenta decori in mattoni e maioliche eseguiti nello stile dell'epoca di Tamerlano. L'edificio, costruito nell'anno 900, era considerato il più grande tempio dell'Asia Centrale. Venne chiuso immediatamente dopo l'arrivo dei bolscevichi che lo trasformarono in un deposito di merci. Qualche anno fa è stata riaperto al culto e restaurato. Si tratta di una moschea all'aperto con un vasto cortile rettangolare, cui si accede attraverso l'alto portale principale racchiuso da un arco classico. Una duplice galleria, caratterizzata da 288 cupole, traccia il perimetro della piazza al cui interno trovavano posto, un tempo, 10.000 persone convenute in preghiera. Tredici Km ad Est di Bukhara si trova il mausoleo di Bagoud-Din-Nachshbandi, uno dei fondatori del sufismo, vissuto qui nel XIII° secolo. Il mausoleo era meta di pellegrinaggi. I musulmani ci venivano da varie parti del mondo per bere l'acqua di un pozzo che si diceva miracolosa e dotata di virtù terapeutiche. Con l'avvento dei comunisti il luogo fu chiuso e ne fu interdetto l'accesso. Ora è stato riaperto e la gente si affolla di nuovo a bere l'acqua del pozzo. Nel muro esterno della tomba, dinanzi al pozzo, c'erano un tempo tre pietre nere provenienti dalla Mecca. Non ne resta che una. Ad Est della città sorgono i complessi delle cosidette "cupole dei mercanti": Taki Zargaran, Taki Telpak Furushan e Taki Sarrafan, adibite, fin dal XVI° secolo, alla lavorazione artigianale, alla vendita di gioielli, copricapi, sete e broccati, al cambio di valuta. Un tempo Bukhara era un grande centro di artigianato. I comunisti, chiudendo il bazar, chiusero anche tutti questi negozietti che in passato producevano di tutto. Completano il panorama architettonico della città le madrase di Ulug Beg (1417), Abdulaziz Khan (1652) e Char Minar, costruzione di pianta quadrangolare con quattro torri sormontate da cupole rivestite in ceramica azzurra. Nel vecchio centro storico si affaccia l'antico quartiere ebraico. Le strade sono strette, le case dai muri lisci e storti sono fatte di mattoni e fango. Gli ebrei di Bukhara hanno una lunga storia. Secondo una tradizione arrivarono qui nel IX° sec. d.C. Loro, però, amano raccontare di essere i discendenti dei prigionieri fatti dagli Assiri e dai Babilonesi e portati in Asia Centrale sette secoli prima di Cristo. L'intrico di vicoli che caratterizza la parte medioevale della città è molto particolare. La vivacità dei colori e l'intenso calore umano è facilmente riscontrabile passeggiando tra queste viuzze, specialmente in estate, quando la gente tende a vivere fuori dalla porta di casa, e nei periodi di feste, matrimoni e celebrazioni religiose. La Città Museo Lungo la Via della Seta, ad ovest di Bukhara, si trova la città di Khiva, autentico "gioiello" architettonico dell'Asia Centrale. Essa sorge nei pressi di un antico insediamento urbano che fu travolto e distrutto, nel II° millennio a.C., da un piena del fiume Oxus (attualmente denominato Amu Darya). La città fu assogettata dall'impero persiano nel VI° sec. a.C., mentre Alessandro Magno, che pure fissò lungo l'Oxus gli estremi confini a Nord del suo impero, non la toccò nemmeno. Nell'VIII° sec. d.C. fu conquistata dai musulmani. Nel X°-XI° sec. vi fiorì una civiltà che ne fece il centro culturale del regno di Khorezm, distrutto tuttavia, come ogni paese centroasiatico, dalle orde di Gengis Khan. Quando, all'inizio del XIV° secolo, il viaggiatore arabo Ibn Battuta passò per quei luoghi non vi trovò traccia di monumenti nè una popolazione residente, Nel corso del secolo, tuttavia, rinacque e prosperò la civiltà di Khorezm, il cui sviluppo fu interrotto dalla devastazione operata da Tamerlano (1370-1388). L'ulteriore ricostruzione la rese capitale della regione mentre, dal XVI° al XVIII° sec., vennero edificati molti edifici conservatisi ancora oggi. Seguì una terza, storica invasione: quella delle truppe iraniane, con conseguente decadenza della città. L'ultima ricostruzione di Khiva iniziò alla fine del XVIII° secolo, sotto il Khanato di Mukhammad Amin, mentre la restaurazione sistematica dei suoi monumenti venne decisa dopo la rivoluzionne bolscevica del 1917, negli anni del potere sovietico. Questa operazione sta continuando ancora oggi, con interminabili lavori di scavo. Oggi la città, che è entrata a far parte negli anni '90 della neonata Repubblica indipendente dell'Uzbekistan, è uno dei luoghi più affascinanti e caratteristici dell'Asia centrale. Il nome della città deriva, secondo la leggenda, dal pozzo Kheivak, che si trova nell'area "nobile" del centro urbano. Khiva, infatti, fu sempre divisa, fin dal medioevo, in due parti: la zona interna, detta Ichan Kala, adibita a corte, e la zona esterna, chiamata Dishan Kala, dove si trovavano le botteghe artigiane e i servizi vari. La città conta oggi una popolazione di circa 33.000 abitanti, ma solo 2000 vivono entro le mura di Ichan Kala, trasformata in città museo e chiusa al traffico automobilistico. Quattro porte esterne, orientate verso i quattro punti cardinali e collegate da due assi stradali che si incrociano perpendicolarmente, tracciano la struttura urbana su cui si sviluppa il complesso architettonico di Ichan Kala, costituito da 48 madrase, 6 moschee, 6 minareti. Lungo l'asse est-ovest s'innalza il minareto Kalta Minor ("Torre bassa"), ideato nel XIX° sec. da Inak Mukhammad Amin Khan affinchè dalla sua sommità si potesse vedere Bukhara. La leggenda dice che, messo al corrente del progetto, l'emiro della città rivale avrebbe strappato all'architetto che lo costruiva la promessa di erigerne uno più alto a Bukhara e che, scoperto l'accordo segreto, Amin avrebbe fatto buttar giù dalla torre incompiuta l'architetto traditore. In realtà Amin perse la vita in guerra nel 1855 e la costruzione del minareto venne interrotta, dopo la sua morte, al 26° metro d'altezza. La torre, rivestita di brillante ceramica bianco-azzurra, è collegato alla coeva medresa Mukhammad Amin, la più grande della città, al cui interno si apre un cortile su cui si affaccia la duplice fila di celle dell'ex-seminario. Proseguendo in direzione est si trova la vasta piazza in cui avvenivano un tempo le esecuzioni capitali, e poco distante sorge il più antico monumento del periodo mongolo: il piccolo mausoleo di Seid Allaudin (XIV° sec.). Molto venerata nei secoli la pietra tombale in ceramica contiene le spoglie di Seid Allaudin, capo religioso cui il monumento fu fatto erigere in segno di riconoscenza, nel 1303, dai superstiti di un'invasione tartara che egli avrebbe invano tentato di scongiurare. Alcune stradine conducono dall'asse principale ai piedi del minareto Islam Khodja. Il complesso di Islam Khodja, che conta anche una medresa e una moschea, fu fatto edificare, ai primi del '900, dall'omonimo ministro. Il minareto, costruito nel 1908, è il più alto della città e dalla lanterna che lo corona è possibile gettare lo sguardo sul deserto che circonda l'oasi di Khorezm. Cerchi di ceramica policroma s'alternano a quelli di mattoni a decorarne l'alto tronco. Vicino al minareto il mausoleo Pakhlavan Makhmmud, la cui xostruzione fu iniziata nel XIV° sec. e completata ne 1835, è dedicato ad un leggendario protettore della città vissuto nel XIII° sec. e noto come poeta e artigiano. Egli era stimato anche per la sua straordinaria forza fisica posta al servizio dei poveri, delle donne e, tra queste, delle mogli sterili, allora facilmente ripudiabili dai propri mariti. L'edificio presenta un alto portale con decori in maioliche bianche e blu alternate a laterizi e una lucida cupola rivestita di ceramica azzurra sormontata da sfere dorate. Nell'ombroso e sontuosissimo interno trovano posto, accanto a quella del poeta, le salme di molti khan di Khiva. Sulla via principale si apre la piazza che, per tutto il XIX° secolo, ospitò il mercato sotto le alte facciate della moschea seicentesca e delle sue madrase. Poco distante sorge l'imponente palazzo Tash Khauli (XIX° sec.), cinto da alte mura merlate sulla cui sommità si alzano torri di guardia con numerosi bastoni sporgenti che venivano conficcati per scacciare gli spiriti maligni o per appendervi le teste dei decapitati. Sul cortile interno dell'harem s'affacciano le stanze del sovrano e quelle delle quattro mogli ufficiali, mentre quelle non ufficiali avevano libero accesso al cortile in cui potevano mostrarsi senza chador. Le stanze che costituiscono l'interno del palazzo sono 163: alla loro costruzione e agli arredi hanno lavorato i migliori maestri di Khorezm: architetti, intagliatori, ceramisti, oltre alle migliaia di schiavi importati in città. L'ultimo edificio sull'asse stradale ovest-est è la piccola e graziosa moschea Ak (XVIII°-XIX° sec.), con aivan aperto lateralmente e cupola poggiante su base quadrangolare. La Polvan darvaz è la porta orientale della città, quella da cui giungevano le carovane provenienti dall'estremo oriente, dalla Cina e dall'India. Negli antri della sua galleria, coperta da cinque cupole centrali e da altre laterali, erano situate le carceri cittadine: sovente i prigionieri venivano appesi per le orecchie alle diverse sporgenze della costruzione e fino alla caduta del potere dei khan era invalso l'uso di seppellire vivi i detenuti in celle murate nei sotterranei della porta. Altri monumenti interessanti sono i minareti Kvartalni e Djuma Maceti, le madrase ottocentesche Rakhim Khan e Allakuli khan. Ricchezza e varietà contraddistinguono l'infinità di monumenti che questa città museo conserva, tanto da aver fatto legittimamente affermare che se si potesse misurare la quantità di monumenti storici per Km. quadrato, probabilmente Khiva occuperebbe il primo posto al mondo ...
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