Alcuni indizi Agli inizi del 1984 due paleontologi dell'Università di Chicago, David Raup e John Sepkoski, studiando la scomparsa di circa 3.500 specie avvenuta negli ultimi 250 milioni di anni, fecero un'inquietante scoperta: ogni 30 milioni di anni, con sorprendente regolarità, sul nostro pianeta si era verificata una catastrofe che, in un tempo relativamente breve, aveva spazzato via per sempre un'enorme quantità di organismi, e fra questi anche alcuni che pure avevano dominato il pianeta per milioni d'anni. Alla luce degli studi condotti le estinzioni di massa sembravano essere un fenomeno inevitabile di carattere ciclico: esse si verificavano puntualmente circa ogni 26 milioni di anni. Le prime due si verificarono all'incirca 435 e 360 milioni di anni fa, durante l'età Paleozoica. Esse causarono la fine di decine di migliaia di specie di organismi marini. La terza, la madre di tutte le estinzioni, avvenne alla fine dell'età Paleozoica, circa 250 milioni di anni fa. Essa svuotò il pianeta, eliminando circa il 95% di tutte le forme viventi che lo popolavano. Nulla di altrettanto catastrofico si è più ripetuto. La quarta estinzione di massa risale circa a 205 milioni di anni fa, durante l'era mesozoica. Essa determinò la scomparsa della maggior parte di anfibi e rettili, aprendo la strada al dominio dei Dinosauri. La quinta estinzione, quella che determinò la fine dei dinosauri, avvenne 65 milioni di anni fa, alla fine del Mesozoico. Negli anni '80 lo studio delle improvvise estinzioni di massa stava conoscendo una certa popolarità nel mondo accademico e in quello giornalistico, a seguito del rinvenimento, in uno strato di argilla della gola di Bottaccione (vicino a Gubbio, in Umbria) vecchio di 65 milioni di anni, di una percentuale insolitamente alta di iridio. Questo minerale è presente ad alte concentrazioni quasi esclusivamente negli asteroidi: secondo il premio Nobel Louis Alvarez e suo figlio Walter che studiarono la strana argilla, dunque, anche l'iridio di Bottaccione doveva essere di origine cosmica. Un asteroide di almeno 10 chilometri di diametro doveva essersi schiantato sul nostro pianeta alla velocità di 72.000 chilometri l'ora, provocando colossali sconvolgimenti ambientali su tutta la Terra e determinando, tra l'altro, l'estinzione dei dinosauri. L'ipotesi ebbe una clamorosa conferma nel 1987, quando un cratere di 45 chilometri di diametro, causato presumibilmente da quest'impatto, fu localizzato nei fondali al largo del Canada.L'entusiasmo suscitato dalla scoperta degli Alvarez fece individuare altri strati d'argilla risalenti allo stesso periodo; le accurate misurazioni del contenuto d'iridio, però, delinearono una realtà sbalorditiva: circa 65 milioni di anni fa, non uno, ma almeno cinque colossali asteroidi si devono essere schiantati sul nostro pianeta nell'arco di qualche millennio. Il tempo delle estinzioni di massa, dunque, sembrava essere stato segnato da un'orologio di natura extraterrestre. L'ipotesi Nemesis L'impatto, in un periodo così breve, di cinque asteroidi così grandi non poteva essere una coincidenza: c'era bisogno di una teoria che spiegasse che cosa avesse potuto scatenare un tale evento, e il perché di quella ciclicità di 30 milioni d'anni nella scomparsa di gran parte delle specie viventi. Fu allora che cominciò ad acquistare popolarità la teoria di Nemesis, la stella nera. Nel 1950, Jan H. Oort, astronomo olandese vincitore del premio Nobel per la fisica, aveva ipotizzato che in prossimità del sistema solare si trovasse una vasta regione, detta da allora "nube di Oort", popolata di oggetti spaziali oscuri, fatti di ghiaccio e polvere. Ogni tanto, una casuale interazione dei campi gravitazionali avrebbe determinato una modifica nell'orbita originaria di uno di loro, provocandone la "caduta" verso il nostro Sole. Sotto l'effetto del vento solare, la massa di ghiaccio sublima, ammantandosi di una chioma di gas che viene soffiata all'indietro mentre s'illumina dei raggi solari: l'oggetto freddo e oscuro proveniente dallo spazio diventa sempre più luminoso ed evanescente trasformandosi in ciò che chiamiamo cometa, uno dei più spettacolari fenomeni della natura che in ogni tempo e in ogni luogo è stato interpretato come un sinistro presagio. L'arrivo nel sistema solare di una cometa isolata proveniente dalla nube di Oort, però, non poteva certamente giustificare la ciclicità delle estinzioni sul nostro pianeta. Una risposta fu trovata da due astrofisici, Marc Davis di Berkeley e Piet Hut dell'Institute for Advanced Studies di Princeton: in un lavoro salito agli allori della rivista "Nature", teorizzarono l'esistenza di una stella nana rossa, una sconosciuta compagna del Sole che, con un percorso molto ellittico, orbiterebbe con la nostra stella attorno a un centro comune di gravità. La battezzarono Nemesis, come la dea latina della vendetta, in quanto si tratterebbe di un oggetto portatore di distruzione. Una stella "nera" è un corpo astrale spento. Un simile oggetto celeste emette solo radiazioni nel lontano infrarosso: è un corpo quasi nero, quasi invisibile, difficilissimo da identificare. Una stella simile ha origine da una massa d'idrogeno relativamente piccola (dieci volte inferiore a quella del Sole): dopo un breve periodo di attività termonucleare, la stella si spegne, contraendosi. Il gas rimasto "cade" verso il centro di gravità, e la stella poi si raffredda, diventando un corpo oscuro.L' orologio che scandisce il tempo delle catastrofi potrebbe quindi essere Nemesi, stella nana orbitante attorno al Sole con un periodo di 26 milioni di anni. Secondo l'ipotesi di Davis e Hut, la vendetta di Nemesis si scatena ogni 30 milioni di anni quando, percorrendo la sua orbita, essa si avvicina alla nube di Oort, alterando gli equilibri gravitazionali e determinando una colossale pioggia di comete sul sistema solare: la maggior parte di esse, dopo averlo attraversato, si perde nell'universo, altre annegano nel Sole, altre ancora lo evitano di misura, iniziando la loro orbita allungata; altre, infine, si scontrano con qualche oggetto del sistema solare: con uno degli asteroidi che orbitano tra Marte e Giove, con un satellite al seguito di un pianeta, o con un pianeta stesso Qualcuna si schianta sulla Terra ... Altre ipotesi Nemesis non è l'unica teoria proposta per spiegare la ciclicità delle estinzioni di massa sul nostro pianeta: alcuni hanno ipotizzato la presenza di un "Decimo" pianeta che, con un'orbita esterna a quella di Plutone, interferirebbe in modo analogo con la nube di Oort (e Smiley, il corpo celeste recentemente identificato da osservazioni fatte dall'osservatorio di Mauna Kea, nelle Hawaii, e da quello Eso sulle Ande cilene, potrebbe essere proprio ciò che si cercava); altri hanno pensato alla periodicità di fenomeni vulcanici terrestri, altri ancora a una nuvola di polvere la cui orbita intersecherebbe il nostro Sistema Solare. Sono state avanzate molte altre ipotesi (alcune estremamente complesse, altre veramente affascinanti), ma nessuna di queste ha avuto finora dei riscontri attendibili.
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