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Molte Sette e un'Eresia I moti di contestazione alla Chiesa, nella prima metà del secolo XII erano divampati qua e là per Europa. Questi piccoli incendi erano destinati a spegnersi rapidamente. Tuttavia essi avevano dato l'indicazione di una volontà di riforma religiosa che aveva solo bisogno di maturare. Prima ancora che quei moti di dissenso terminassero, soffocati dalla repressione della Chiesa, la contestazione riprendeva infatti a serpeggiare per tutta l'Europa, ma questa volta simile a un fuoco sotterraneo silenzioso, alimentato da un intento unitario e tenuto vivo da una più consapevole coerenza di comportamento. Non era più il generoso tentativo individuale dei predicatori itineranti nel denunciare la vita corrotta del clero per ricondurre la Chiesa ai perduti valori evangelici, ma un rifiuto globale dell'istituzione ecclesiastica e della Chiesa Romana (di cui si criticavano le posizioni teocratiche e le commistioni con il potere politico) e una diversa interpretazione del cristianesimo, frutto di un radicato pessimismo sulle condizioni della vita umana e di una totale sfiducia nei mezzi di salvezza proposti dalla Chiesa stessa. In quegli anni, nei verbali dei processi celebrati in Europa, codesti eretici cominciarono ad essere chiamati con nome che resterà con loro definitivamente: Catari (dal greco katharòs, ossia "puro"). Il Catarismo rappresentò senza dubbio la più importante e significativa eresia sorta durante il Medioevo (secondo alcuni divenne una vera e propria religione autonoma). Non si trattò nemmeno di una setta, ma di un movimento spontaneo, che affiorò contemporaneamente in punti diversi dell'Europa, come sovrastruttura di un'identica situazione storica. Si fondava infatti su una constatazione molto elementare: questo mondo è il regno del male, delle sofferenze, della corruzione, delle ingiustizie. Bisognava quindi non lasciarsi coinvolgere, ma vivere isolati, secondo retti principi morali, nell'attesa della morte liberatrice. I Catari erano una setta che professava una dottrina fondamentalmente dualista che predicava un'assoluta purezza di vita. La Teologia catara sembra essere sorta per l'infiltrazione del bogomilismo proveniente dalla penisola balcanica. Caratterizzata da un rigido ascetismo, essa poneva l'accento sul conflitto tra il mondo spirituale, creato da Dio, e quello materiale, opera di Satana, eredità del manicheismo e del mazdeismo. Si diffusero in Occidente nei secoli XI-XIII: soprattutto in Spagna, italia Centro-settentrionale e Francia occitana del Sud (Provenza, Linguadoca, Aquitania). A differenza di altri movimenti ereticali, i catari si organizzarono come una vera e propria Chiesa, con una propria gerarchia che comprendeva uditori, fedeli, preti e prelati. Essi erano diretti da una vera e propria organizzazione ecclesiastica, formata da comuni "fedeli" e da un clero di "perfetti". Nella Francia settentrionale e nelle Fiandre i catari presero il nome di Publicani; nella Francia meridionale di Albigesi; nell'Italia settentrionale e nella Dalmazia di Patarini. Catari erano anche i Pauliciani che, passando dalla Tracia all'Europa sudorientale nel IX secolo, si diffusero assieme ai bogomili in Bulgaria, Albania e Slavonia. In Francia uno dei centri maggiori era Tolosa, un altro centro rilevante era Albi (da cui il termine albigesi). Albi, in Linguadoca, fu probabilmente la prima sede episcopale catara. Nel 1165 furono fondate le diocesi di Tolosa, Agen e Carcassonne, mentre quella del Razès si aggiunse nel 1225. Nell'Italia centro-settentrionale l'eresia apparve in Lombardia nel XII secolo con le comunità di Desenzano, Mantova e Concorezzo. I primi episcopati furono costituiti in Toscana ed Umbria (Firenze, Spoleto), in Lombardia (Concorezzo, Desenzano, Bagnolo) e nella Marca trevigiana (Vicenza). I Catari, organizzati come una vera e propria Chiesa alternativa, penetrarono in profondità nella cultura della società occitana dell'epoca, sia presso gli strati più umili che nelle Corti dei Signori (molti trovatori erano catari ed esistono corrispondenze tra le concezioni eretiche e taluni motivi della poesia cortese). Per questo motivo fu indetta la famosa Crociata contro gli Albigesi, che sradicò violentemente dalla Francia meridionale questa pratica religiosa. Alla fine del XIV secolo i catari erano praticamente scomparsi in tutta Europa, anche in seguito all'incisiva azione di ordini mendicanti quali i Francescani e i Domenicani. Della letteratura catara ci è rimasto, oltre al rituale latino e provenzale, il cosiddetto "Libro dei due Principi". Origini della Dottrina Il Catarismo non fu una religione "rivelata", ma piuttosto il risultato della lunga maturazione di una corrente di pensiero non specifica del cristianesimo. Del resto, se i catari furono considerati eretici, cioè deviazionisti cristiani, non è certo che cristiani lo fossero effettivamente. Della dottrina cattolica il catarismo adottò numerosi elementi: una certa tradizione ed alcuni testi (seppure riletti), ma non rappresentò una vera e propria deviazione dal Cristianesimo. La corrente di pensiero a cui si ispirò, infatti, era molto antica: il dualismo, ovvero la tesi secondo cui l'Universo è il risultato di un confronto tra due principi antagonisti (Spirito buono, di origine divina, e Materia malvagia, opera di Satana). Inoltre per essi il libero arbitrio non esisteva. Facevano intervenire un'altra nozione, estranea alla tradizione cristiana: la reincarnazione. Il ciclo delle reincarnazioni era necessario per purificarsi attraverso la materia e risalire alle sorgenti, al mondo "puro" delle idee, allo "stato" superiore che l'anima non dovrà più abbandonare. E' soprattutto nell'antica Persia e nella tradizione giudaico-cristiana che occorre cercare gli antenati dei catari. Il Mazdeismo fu l'antica religione dei persiani indo-europei. Essa si costituì nel Nord dell'Iran inglobando credenze autoctone e tradizioni giunte dalla valle dell'Indo. La nozione fondamentale del mazdeismo appare come il trionfo del dualismo. Tutto riposa, infatti sul conflitto permanente tra due princìpi, quello del bene, rappresentato dal dio Ahura-Mazda (da cui il nome "mazdeismo") e quello del male rappresentato dal dio Ahriman . Si tratta di un conflitto senza fine nel corso del quale ciascuno dei due avversari prende di volta in volta il sopravvento, delimitando i periodi della storia universale. Ma, alla fine dei tempi, Ahriman sarà vinto e tornerà al nulla, lasciando vincitore Ahura-Mazda. Alla fine del sec. VII a.C. Zoroastro (soprannominato Zarathustra, "astro brillante"), grande riformatore e maestro, modificò il mazdeismo primitivo eliminando i suoi elementi più "folkloristici" e sforzandosi di intellettualizzare e spiritualizzare i vecchi miti della tradizione. Fu così che il Sole divenne il simbolo della Luce spirituale e della purezza divina alla quale ogni essere umano deve pervenire. Dopo la sua morte fu redatto l'Avesta che riporta le parole del profeta dettate, secondo Zoroastro, dalla "Grande Luce". Il Mazdeismo zoroastriano si presentava, così, come la prima religione "rivelata", la cui influenza fu particolarmente evidente sul giudaismo dell'epoca di Gesù. E' ovvio che Ahriman è servito da modello al Satana giudeo-cristiano. Ma i Catari hanno fatto proprio anche il suo significato esoterico, facendone il creatore della materia, che disperde l'energia primitiva in un mondo di illusioni e violenza, che occorre demistificare per poter ritornare al mondo delle realtà supreme, quello della Luce spirituale simboleggiata da Ahura-Mazda. Il Manicheismo trae la sua origine da Mani, nome iranico di un nobile persiano che nacque attorno al 217 d.C. All'età di 12 anni avrebbe ricevuto un messaggio divino da parte di un Angelo, il quale lo avrebbe invitato, dodici anni più tardi, a farsi conoscere per divulgare la sua dottrina. Tra il 242 e il 273 egli percorse l'impero persiano, ancora dominato dalla religione mazdea, facendo adepti sempre più numerosi. Imprigionato dai mazdei morì nel 277. La pretesa di Mani era quella di fondare una religione universale tentando di trovare il comune denominatore di tutte le grandi religioni esistenti. Egli si dichiarava successore di Buddha, Zoroastro e Gesù, ma voleva rivolgersi a tutti i popoli della Terra. Tuttavia il manicheismo non fu soltanto una sintesi tra mazdeismo, buddismo e cristianesimo: fu anche una forma di gnosticismo, poiché basava tutto sulla "gnosi", la conoscenza ("Non si può ottenere la salvezza senza sapere"). La dottrina manichea poneva l'esistenza di due princìpi che non sono stati generati, ma che sono eterni ed equivalenti: il bene ed il male, le cui raffigurazioni più semplici sono la luce e le tenebre. Tuttavia, pur ribadendo l'esistenza di due princìpi increati, ammetteva l'esistenza di un Dio unico, in quanto intendeva il male semplicemente come negazione del bene, il Demonio (la materia) come Non-Essere opposto all'Essere (Dio, lo Spirito). La morale manichea, che si proponeva di aiutare a ritrovare la "purezza" originale, si esprimeva come una morale della non-azione: il mondo esteriore è opera del demonio e dunque tutte le azioni che si compiono sono un incoraggiamento al male (Da ciò ebbe origine, probabilmente, la pratica catara dell'endura). Tra gli adepti c'erano i "puri" (gli eletti), tenuti ad un'ascetismo rigoroso ed alla castità, e gli "uditori" (semplici credenti), che si sposavano, lavoravano, partecipavano alla vita sociale e provvedevano alla sussistenza degli eletti. E' sottointeso che soltanto i "puri" potevano pretendere, dopo la morte, di entrare nel Regno della Luce (che è un vero e proprio Nirvana). Agli altri era riservata la speranza di reincarnarsi per arrivare, in una vita successiva, alla condizione di purezza. Questo sistema gerarchico sarà ripresa dai catari: soltanto i "perfetti" erano tenuti all'ascetismo più rigoroso (e potevano accedere, dopo la morte, al "Regno puro", mentre i normali "credenti" davano loro i mezzi per vivere ( e potevano solo reincarnarsi per purificarsi progressivamente). L'unico sacramento manicheo ( perfettamente corrispondente al Consolamentum cataro) esistente era quello dell'imposizione delle mani che si praticava nel momento in cui il "credente", ricevendo lo Spirito, entrava nella categoria degli "eletti". Il Bogomilismo ebbe origine nella prima metà del X secolo in Bulgaria, nel distretto della Macedonia, Qui il prete di un villaggio, chiamato Bogomil, si mise a predicare la rassegnazione di fronte ai soprusi dei nobili e dell'alto clero e una ricerca della serenità attraverso la vita monastica, unico mezzo per trovare consolazione in un mondo turbato dalle forze del male. I suoi discepoli, chiamati Bogomili, furono inizialmente asceti ed eremiti. La loro dottrina era sostanzialmente dualista (basata sulla dicotomia e contrapposizione tra Dio- Spirito e Satana-Materia). Come i manichei avevano anch'essi due tipi di adepti: gli "eletti", pervenuti ad uno stadio superiore, e i "credenti", ancora legati alla materia e tentati da Satana. I "credenti" avevano la possibilità di diventare "puri" attraverso una cerimonia simile al Consolamentum cataro. La mitologia dei Bogomili si accompagna ad una credenza nella reincarnazione (per la purificazione dei "credenti"). Cacciati e perseguitati dai Bizantini essi s'infiltrarono, a partire dal 1140, attraverso i Balcani in direzione ovest, affluendo in Jugoslavia e Italia del Nord. Ben presto arrivarono anche in Occitania e in Francia. Ciò fa ritenere che forse esiste una filiazione diretta tra Catari e Bogomili, ovvero che i primi derivino strettamente dai secondi. Spirito e Corpo Il Catarismo non si presentò come un insieme coerente e organizzato, ma piuttosto come il raccordo di esperienze vissute e di aspirazioni che, a poco a poco, si condensarono in un dogma e in una morale pratica. Il pensiero cataro riassumeva in sè varie concezioni eretiche antisacerdotali ed antisacramentali. Gli adepti rifiutavano l'uso liturgico del latino, tanto che avevavano fatto tradurre la Bibbia nella loro lingua volgare (la langue d'oc, come il "provenzale"), e aspiravano al contatto diretto e personale con Dio, attraverso la parola evangelica. I catari, infatti, predicavano senza autorizzazione, non avendo bisogno di preti. Si riunivano in assemblee per l'insegnamento e la preghiera (recitavano soltanto il Padre Nostro, anche se leggermente modificato), e lo stesso San Bernardo disse:
E' interessante ricordare come essi consideravano la figura di Gesù. Per la maggior parte di loro Cristo era apparso sulla Terra sotto un'apparenza carnale, ma in realtà con un corpo angelico. Si giunse persino a supporre l'esistenza di due Cristi: il Cristo terrestre, morto a Gerusalemme, senza dubbio cattivo, che aveva come concubina Maria Maddalena, l'adultera di cui aveva preso le difese, e il vero Cristo, quello celeste, che non beveva e non mangiava, nato e crocifisso in un mondo invisibile. La pretesa dell'esistenza di un Cristo terrestre, amante o sposo di Maria Maddalena produrrà la nascita di strani racconti, relativi all'arrivo in Francia (nel Razès) di M. Maddalena e dei suoi figli, i figli del Gesù terreno, che sarebbero diventati i progenitori della stirpe Merovingia . Tutta l'Occitania (Linguadoca e Provenza), infatti, era impregnata di antiche tradizioni riguardanti Maria Maddalena, considerata la "Madre del Graal" e del vero cristianesimo occidentale. La Morale catara era semplice e precisa. La dottrina professata, infatti, era essenzialmente gnostica, in quanto contrapponeva lo spirito "puro" alla "contaminazione" della carne. Secondo questa concezione il Dio dell'Antico Testamento, creatore della materia, poteva essere assimilato al principio del Male, incarnato dalla Chiesa. Questa idea partiva dalla constatazione che, in fondo, c'è un solo peccato: la rottura con il vero Dio. Chi rifiuta di appartenere al mondo non è sottomesso a Satana. Perciò, per un cataro, peccare significava subire il mondo. Ogni unione sessuale riguarda la carne e rischia di prolungare indefinitivamente l'opera di Satana: dunque è peccato. Per questo i catari rifiutarono il matrimonio come sacramento, non facendo differenza tra relazioni legittime o illegittime, amore libero, omosessualità, adulterio o incesto. Questo "lassismo" non concerneva i "perfetti", perché costoro osservavano una stretta continenza, avendo raggiunto uno stadio di evoluzione spirituale superiore. Diversamente, i semplici "credenti", ancora troppo attaccati alla materia, potevano sposarsi o praticare l'unione libera. I "perfetti" avevano altri obblighi: dovevano astenersi da ogni cibo che fosse un prodotto della riproduzione (carne, formaggio, uova, latte). C'era anche un'altra interdizione: non si doveva uccidere per nessun motivo. Tale divieto si estendeva anche agli animali che, secondo la dottrina della trasmigrazione, potevano contenere anime umane obbligate a rinascere sotto una forma inferiore a causa dei loro peccati in una vita precedente. Vegetariani, i catari erano anche convinti nonviolenti . La pena di morte era considerata un assassinio, perché toccava a Dio il compito di castigare e non al Papa, all'Imperatore o ad un qualsiasi altro sovrano. L'unico sacramento ammesso era il già citato Consolamentum, atto liturgico con cui si rinunciava al male. Esso veniva amministrato da un "perfetto", e dopo di esso il fedele era tenuto a vivere in castità, astinenza e povertà. Per il resto la morale catara coincideva a grandi linee con quella cristiana. Resta il problema dell'endura. Grazie ai registri dell'Inquisizione, sappiamo che alcuni eretici, principalmente donne, si misero in "endura", cioè in uno stato di digiuno prolungato, fino a morirne. I catari, avendo una concezione fortemente pessimistica del mondo, venivano considerati dai loro avversari come facili candidati al suicidio. Logicamente, uomini che credevano di essere angeli prigionieri di un corpo potevano essere tentati di bruciare le tappe per sfuggire alla loro prigione il più velocemente possibile. Ma nella dottrina catara non c'è traccia alcuna di incitamento a togliersi la vita. Riflettendo bene, il suicidio "rituale" sarebbe stato piuttosto un'impedimento al processo di purificazione che passava attraverso la penitenza e la sofferenza nel mondo. Tuttavia la pratica dell'endura resta comunque un fatto misterioso. L'assedio al Castello All'inizio del XIII secolo, i catari cominciarono a frequentare e ad insediarsi sul picco di Montségur, nei pressi dei Pirenei orientali. In quell'epoca l'eresia guadagnava terreno in tutta la Linguadoca, protetta dal conte di Tolosa, Raimondo VI. La regione della Linguadoca corrispondeva sostanzialmente a quello che era stato, nel VIII° secolo d.C., il regno ebraico di Septimania, governato dal conte merovingio di Tolosa Guillem de Gellone. Politicamente, quindi, non faceva parte della Francia, ma era uno stato indipendente protetto dal conte di Tolosa. Era una zona culturalmente evoluta (vi si insegnavano le lingue classiche, la letteratura, la filosofia e la matematica) e generalmente assai ricca. In tale contesto i catari divennero così potenti che, nel 1167, avevano potuto svolgere un Concilio a Tolosa, presieduto da un loro vescovo. Ma essi sapevano che le pretese del Re di Francia, Filippo II, sulle terre occitane si facevano sempre più insistenti. Il Re di Francia, infatti, si sarebbe valso del minimo pretesto per far intervenire le sue truppe e procedere all'annessione del paese. Così, quando Filippo cercò di ottenere dal Papa l'autorizzazione ad intraprendere una Crociata contro gli albigesi per fermare il progredire dell'eresia, i capi catari fecero fortificare le vecchie rovine di un castello esistente sulla montagna, ricostruendo la fortezza. Nel 1208 Papa Innocenzo III proclamò la crociata. Nel 1209 più di 200.000 Crociati convennero a Lione, sotto l'esperta guida di Simone de Montfort. Egli, alla testa dell'armata regia, devastò il paese, ottenendo incontestabili successi. Per vent'anni la parte più civilizzata e forse più felice d'Europa, la terra dei trovatori, fu investita da saccheggi e distruzioni su larga scala: la citta di Béziers fu una delle prime ad essere saccheggiata e i suoi abitanti vennero massacrati. Settemila catari vannero uccisi nella chiesa della Maddalena. I capi delle forze armate chiesero ai prelati mandati dal Papa come fare a distinguere i cattolici dagli eretici, e la risposta fu: "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi". Il massacro costò decine di migliaia di vite umane e la crociata continuò fino alla completa sottomissione dei Conti di Tolosa (Trattato di Parigi, 1229). Ma se l'Occitania catara sembrava ormai perduta, la fortezza di Montségur non era stata toccata e i catari vi accorsero sempre più numerosi. Montségur divenne, così, il vero faro del catarismo, la "sinagoga di Satana", come dicevano alcuni cronisti. Numerosi pellegrini affluivano da tutta l'Occitania per ascoltare i sermoni dei "bonshommes". Si diceva, inoltre, che nella fortezza i catari nascondessero un immenso e sacro tesoro (la cui origine resta misteriosa), associato ad un'antica conoscenza, che veniva custodito nelle cantine del castello. L'attacco a Montségur scoppiò quasi per caso, scatenato da un incidente, in apparenza, secondario, ma che poteva benissimo essere il risultato di una provocazione voluta dal governo regio. Nel maggio del 1242 ad Avignonnet, nella contea di Tolosa, due inquisitori, frate Arnaud Guilhelm de Montpellier e frate Etienne de Narbonne, stabilirono il loro tribunale. La reazione non si fece attendere: una cinquantina di cavalieri e uomini armati di Montségur si diresse verso Avignonnet. Fu un massacro: tutti i membri del tribunale vennero uccisi. Quando la notizia si diffuse l'intera Occitania si sollevò in rivolta contro il potere regio. L'uccisione degli inquisitori provocò una sanguinosa repressione: Montségur fu apertamente presa di mira sia dal Clero che dal Re. Il comando della spedizione contro la fortezza venne affidato a Hugues des Arcies, siniscalco di Carcassonne. Nel 1243, un'armata di 10.000 uomini si diresse verso Montségur. L'assedio apparve subito perfettamente inutile: sei mesi più tardi non aveva ottenuto alcun successo. Nel novembre del 1243 gli assedianti si rivolsero ad alcuni mercenari baschi, i quali riuscirono a scalare il versante sud, arrivando a 150 metri dalla fortezza. Una notte, alla fine di dicembre, un gruppo di volontari intraprese l'ascensione della parete est. Arrivati in cima massacrarono i guardiani. I baschi attaccarono a loro volta e si impadronirono della posizione. La situazione si volse a favore degli assedianti. A Montségur si decise, così, di trasferire altrove il tesoro: si riuscì (a quanto pare) a trasportare, nonostante l'assedio regio, una gran quantità d'oro e d'argento in una grotta fortificata dell'alta valle dell'Ariège. L'assedio durava da più di un anno e i capi delle truppe regie erano esasperati. Fu così fatta una proposta di resa e accettate quasi tutte le condizioni poste dagli assediati: tutti quelli che si fossero arresi avrebbero avuto salva la vita e, purchè avessero confessato le loro colpe, sarebbero stati lasciati liberi. La resa era prevista per il 16 marzo. La notte precedente la resa, dal castello furono fatti evadere quattro "perfetti", calandoli lungo la parete orientale della montagna. Chi erano quei quattro uomini ? Forse catari a conoscenza di segreti, come l'ubicazione del tesoro, o latori di documenti segreti ... Il 16 marzo 1244 gli occupanti lasciarono la cima della montagna. 205 catari rifiutarono di confessare i propri errori e di rinnegare il proprio credo. Fu eretto immediatamente un rogo, sul cosidetto Prat del Cramats ("Prato dei bruciati"). Quando il rogo fu acceso gli eretici vi salirono cantando, come persone alle quali era assicurato il ritorno alla purezza originale. I Catari e il Graal In nessuno dei testi del Graal, di origine franco-britannica o cistercense, è dato trovare un solo dettaglio che possa ricondurre il tema del Graal alla dottrina catara, e situare il castello del Graal a Montségur o nel paese cataro. Ma non è lo stesso per la versione "germano-iranica" della leggenda, quella descritta da Wolfram von Eschenbach nel Parzival e nel Titurel. In questo caso il rapporto con il catarismo sembra evidente, e le strane corrispondenze che si scoprono nel testo giustificano l'interesse manifestato dai "nordici" per i catari, così come la localizzazione del castello del Graal a Montségur. Soltanto nel Parzival, infatti, il Graal è una pietra preziosa sulla quale si posa una colomba identificata con lo Spirito Santo. Questa pietra, di origine celeste, evoca la tradizione secondo la quale il Graal sarebbe stato tagliato in forma di vaso da un gigantesco smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero al momento della sua caduta. Quest'ultimo tema rimanda al catarismo: la pietra simboleggia ciò che resta di puro e di angelico nell'animo umano dopo il suo imprigionamento nella materia. Questa ossessione della purezza è comune sia al Parzival che al catarismo: se l'eroe non è vergine, non è casto e non è nemmeno alla ricerca della purezza assoluta. E la purezza conduce alla perfezione, scopo supremo dell'ascesa catara. Nel romanzo di Wolfram, infine, il Graal era stato affidato a uomini "diventati puri con il battesimo degli angeli". Che cosa pensare di questo "popolo puro" destinato a sostituire gli angeli nel loro ruolo di guardiani del Graal ? Erano i catari? Oppure i Templari? O tutt'altra cosa? Seguendo l'opera di Wolfram si vede dunque disegnarsi uno strano schema iniziatico il cui elemento primordiale resta il sangue, il sangue di una stirpe della quale occorre preservare la purezza. E' su questo punto che avviene l'incontro del mito del Graal con il mito cataro. E ci si accorge allora che il Graal non è un oggetto e che il tesoro dei catari non è una realtà materiale ... Il Sangue Reale La fuga dei quattro "perfetti" da Montségur, prima della resa e dell'olocausto dei 205 eretici, alimenta ipotesi interessanti. Tenuto conto della serenità dimostrata dai catari che perirono sul rogo, non è pensabile che questi quattro si siano sottratti al supplizio senza una ragione superiore che coinvolgesse tutta la comunità catara. Se scapparono dalla fortezza era per proteggere "qualcosa" che non doveva cadere nelle mani degli inquisitori o in quelle dei soldati dell'armata regia. L'ipotesi più logica e verosimile è quella di una missione consistente nel trasmettere un certo numero di indicazioni segrete a determinate persone. Forse la setta era in possesso di informazioni attendibili in grado di smentire i concetti basilari su cui si fondava la Chiesa cattolica romana. Ufficialmente, infatti, la legittimità storica e la supremazia spirituale della Chiesa romana è giustificata dalla cosiddetta "tradizione della successione apostolica". In base ad essa il vescovo di Roma, il Papa, conserva e trasmette ai suoi successori una carica ereditata nel tempo da san Pietro, designato direttamente da Gesù a capo della sua chiesa. Secondo la tradizione Pietro, dopo la morte del Maestro, si era recato a Roma e, qui, aveva nominato il suo successore. In questo modo il vescovato di Roma sarebbe divenuto la sede apostolica e, quindi, il luogo di residenza della suprema autorità spirituale dell'intera cristianità. In realtà questa tradizione appare, storicamente, piuttosto incerta. Essa si basa, più che altro, sull'opera, del II secolo d.C., di Ireneo di Lione, denominata Dimostrazione della predicazione apostolica, primo scritto in cui si accenna all'arrivo di Pietro a Roma e in cui si descrive la "successione apostolica". In effetti fu solo nel 380 d.C. che il vescovo di Roma, per la prima volta, dichiarò di parlare a nome dell'intera cristianità. In quell'anno il vescovo Damaso usò l'opera di Ireneo per sostenere le sue affermazioni, provocando la collera dell'Imperatore e degli altri vescovi (Damaso aveva preteso che tutti gli altri vescovi lo chiamassero "Padre", ovvero Papa, anzichè "fratello"). Successivamente fu l'imperatore Giustiniano, nel 526 d.C., ad investire ufficialmente il vescovo di Roma di autorità politica, sancendo definitivamente la supremazia del "papato" romano. L'ipotesi è la seguente: il Graal, diventato, a partire da Chétien de Troyes, un simbolo "ideologico" adottato da svariate correnti di pensiero, è in rapporto con il "tesoro" dei catari, cioè con documenti e tradizioni concernenti la monarchia francese. Infatti il ciclo del Graal, specialmente nella versione tedesca, mette in risalto una stirpe regale, una dinastia segreta che, attraverso Gesù, si fa risalire al Re David. D'altra parte, come abbiamo visto, esiste un rapporto stretto e fondato tra i catari ed il racconto tedesco del Graal. Inoltre occorre notare che nella lingua francese antica, in cui l'ortografia non era ancora fissata, le varianti che appaiono nei manoscritti mostrano una serie di combinazioni diverse di termini per denominare il "Santo Graal": sangraal, sangreal, sangral, sangrail . Nel XIV secolo, nel testo inglese di Thomas Malory, il termine sangreal predomina nettamente. La cesura normale diventa, così, san greal, ma si può sostituirla facilmente con un'altra: sang real. A "sang real" corrisponde, nel francese moderno, sang royal ("sangue reale"). Il Graal sarebbe allora un modo simbolico per indicare il "Sang Royal", cioè una stirpe regale segreta costituita dalla famiglia dei Re del Graal, che la maggior parte dei testi fa risalire, attraverso Giuseppe d'Arimatea, al re biblico David. Ma quale potrebbe essere questa stirpe reale segreta ? I Merovingi, "re capelloni" dei Franchi, erano protagonisti di strane storie concernenti la nascita e la concezione del fondatore della dinastia Meroveo. Quando sua madre, moglie di Clodion, Re dei Franchi Sicambri, rimase incinta, andò a nuotare nell'oceano dove fu sedotta da una creatura acquatica "venuta da oltre il mare", denominata Bistea Neptunis, che l'avrebbe fecondata una seconda volta. Così Meroveo avrebbe avuto "due padri". A questo proposito va ricordato che il "pesce" era considerato un simbolo tradizionale associato a Gesù. Nelle prime comunità cristiane di ebrei ellenizzati per indicarlo si usava il termine greco ichthys, adoperato come sigla associata alla frase Iesus CHristos THeos ("Gesù Cristo Dio"). Il "pesce", infatti, era anche un emblema dei re merovingi. Meroveo fu proclamato re nel 448 d.C. a Tournai, fondando la dinastia che da lui prese il nome. I suoi successori erano molto speciali poichè erano oggetto di particolare venerazione per le loro conoscenze magiche ed esoteriche. I costumi dei merovingi denotavano alcune sorprendenti somiglianze con le usanze essene e naziree, antiche pratiche ebraiche. In particolare i re merovingi "lungochiomati" erano del tutto simili ai nazirei ebrei, come Sansone e Samuele, vincolati a rigide regole di vita:
Occorre ricordare, per inciso, che il rango di capo nazireo spettava al pricipe ereditario davidico. I Merovingi, inoltre, seguivano l'usanza essena della "Seconda nascita": al compimento del dodicesimo anno i figli del re acquisivano il diritto naturale ereditario alla sovranità dinastica per iniziazione, senza che ci fosse bisogno di una successiva incoronazione. Non si trattava di una dinastia di re "creati", ma di una successione di re "naturali", il cui diritto alla corona era automatico. Questa pratica era del tutto analoga alla tradizione essena per cui, all'età di 12 anni, i ragazzi "rinascevano" e si sottoponevano ad una ricostruzione rituale della loro nascita: essi, così, rinascevano simbolicamente dal grembo materno e occupavano il loro posto nella comunità. Tra i successori di Meroveo il più grande fu Clodoveo, re merovingio convertitosi al cristianesimo, che si alleò con la Chiesa cattolica di Roma. Tra i suoi ultimi discendenti emerge storicamente la figura di Dagoberto II, assassinato nel 679 a Stenay, durante una battuta di caccia, su ordine di un maggiordomo di palazzo, il carolingio Pipino di Heristal. Dagoberto II venne inumato nella cappella regia di Saint-Rémy, nelle Ardenne, e, nell' 872, fu canonizzato dal Papa, fatto eccezionale a quei tempi. Il potere passò allora nelle mani di un altro ramo dei Merovingi, quello dei "re fannulloni", marionette nelle mani dei maggiordomi di palazzo carolingi, deposti definitivamente da Pipino il Breve nel 751. Dagoberto II fu, dunque, l'ultimo Re Merovingio del ramo principale. Egli avrebbe avuto un figlio, Sigeberto IV, che si sarebbe rifugiato presso il nonno, assicurando la continuità della dinastia merovingia legittima. A detta di alcuni il "sangue merovingio" si ritroverà, successivamente, nella famiglia dei Guisa (pretendenti alla corona francese), in quella degli Asburgo, tra i duchi di Lorena e lungo i vari rami della dinastia scozzese degli Stuart. Oltre a questi esisterebbe oggi, in Europa, una dozzina di famiglie di discendenza merovingia, come i Plantard e i Montesquieu in Francia, o i Sinclair in Gran Bretagna. Un Tesoro sui Pirenei Tra il 1885 e 1l 1891 un uomo fu così fortunato da trovare un tesoro prezioso, o da scoprire un segreto, che gli fruttò milioni di soldi. Il 1° giugno del 1885, infatti, nel minuscolo villaggio di Rennes-le-Chateau, sui Pirenei francesi, arrivò un nuovo parroco, di nome Bérenger Saunière. A quel tempo Rennes-le Château contava soltanto duecento anime. Era un piccolo villaggio appollaiato su una collina scoscesa, nel dipartimento dell'Aude, in Linguadoca, a quaranta km. da Carcassonne. Anticamente il villaggio si chiamava Rhaede ed era una grosso centro. Nella zona furono trovate vestigie preistoriche e romane, ma tutti lo ricordano come importante capitale visigota nel V secolo d.C. Il paese, inoltre, per oltre 500 anni, era stato sede di un'importante contea, la Contea del Razès. Il reddito medio di Saunière consisteva, a quell'epoca, in qualche centinaio di franchi francesi, somma appena sufficiente per sopravvivvere. Come governante assunse una contadina, Marie Denarnaud, che divenne la sua confidente. In quel periodo faceva spesso visita ad un amico, l'abate Henri Boudet, curato del vicino villaggio di Rennes-le-Bains. Sotto la guida del Boudet egli cominciò a occuparsi della storia affascinante di quella regione, circondata da vette misteriose (una di queste, chiamata Bézu, era sovrastata dalle rovine di una fortezza medievale che aveva ospitato una comunità di cavalieri templari). Da tempo Saunière aveva progettato di restaurare la vecchia chiesa di Rennes-le-Chateau, costruita nel 1059 sulle rovine di una chiesa visigota consacrata a Maria Maddalena, risalente al 411 d.C. Nel 1891, incoraggiato dall'amico Boudet, iniziò il restauro. Durante i lavori rimosse la pietra dell'altare e i due pilastri che la sostenevano. Con grande sorpresa scoprì che uno dei pilastri era cavo e conteneva tre cilindri di legno sigillati che custodivano quattro pergamene. Le prime due pergamene contenevano delle genealogie, più precisamente l'albero genealogico dei discendenti merovingi di re Dagoberto II, dal 681 al 1244 e dal 1244 al 1644. Una recava la data 1244, l'altra 1644. Gli altri due documenti erano stati compilati, alcuni decenni prima, dall'ex-parroco, l'abate Antoine Bigou, che era stato cappellano dei Blanchefort, famiglia di famosi proprietari terrieri della zona, che aveva annoverato, tra i suoi antenati, il quarto Gran Maestro dei Templari, Bertrand de Blanchefort. Le due pergamene redatte da Bigou contenevano testi latini e brani del Nuovo Testamento, ma scritti in codice. Sulla seconda pergamena le righe venivano troncate in modo indiscriminato ed iregolare, mentre alcune lettere apparivano vistosamente rialzate rispetto alle altre. Una di queste sequenze di lettere formava un messaggio coerente:
Il curato si rese conto di essersi imbattuto in qualcosa d'importante e portò i documenti al suo superiore, il vescovo di Carcassonne, mons. Felix-Arsène Billard, il quale lo mandò a Parigi presso l'abate Bieil, direttore del Seminario di Saint Sulpice. Saunière trascorse tre settimane a Parigi, intrattenendo colloqui con gli ecclesiastici. Tra questi c'era Emile Hoffet, nipote dell'abate Bieil. Costui, sebbene giovanissimo, si era già fatto una fama di erudito nel campo della crittografia e della paleografia. Egli, inoltre, amava l'esoterismo e manteneva rapporti con vari gruppi occultistici. Saunière fu subito accolto volentieri nel "circolo" di Hoffet. Durante il soggiorno a Parigi egli passò molto tempo al Louvre, cercando di vedere tre dipinti che dovevano essere molto significativi. Uno di questi, Les Bergers d'Arcadie ("I pastori d'Arcadia"), era un quadro del 1640 di Nicolas Poussin, raffigurante tre pastori che indicano e contemplano una grande tomba antica recante sulla pietra corrosa l'iscrizione "Et in Arcadia Ego". Sullo sfondo torreggia un tormentato paesaggio montuoso. Poussin era un artista francese che fu attivo a Roma dal 1624 fino al 1665, anno della sua morte. Nel 1656 Poussin aveva ricevuto la visita dell'abate Louis Fouquet, fratello di Nicolas Fouquet, sovritendente delle Finanze del re Luigi XIV. Da Roma l'abate inviò una lettera al fratello in cui scrisse:
Gli storici non sono mai riusciti a spiegare in modo convincente questa lettera che, chiaramente, allude ad un mistero di grande importanza. Dopo averla ricevuta Nicolas Fouquet venne arrestato, incarcerato ed isolato per il resto della sua vita (alcuni storici lo identificano con l'uomo della famosa "Maschera di Ferro"). Negli anni seguenti il re fece di tutto per procurarsi il quadro di Poussin. Quando ci riuscì lo rinchiuse a Versailles ... Occorre aggiungere che probabilmente il dipinto fu, in parte, ispirato a Poussin da un'opera precedente del 1620, attribuita a Giovanni Francesco Barbieri detto "il Guercino", conservata tuttora a Palazzo Corsini, a Roma. Il dipinto raffigura due pastori che, entrati in una radura, si imbattono in un sepolcro recante l'iscrizione "Et in Arcadia ego" e sul quale spicca un grosso cranio. Questa frase latina è sicuramente strana ed enigmatica, in quanto priva di verbo e di significato compiuto. Qualunque ne fosse l'origine, la frase sembra aver avuto, per i pittori in questione, un significato più profondo di un semplice verso elegiaco. Chiaramente custodiva un messaggio segreto, riconoscibile da certe persone. Ma la cosa più interessante è che la tomba raffigurata nel quadro di Poussin corrisponde ad una tomba effettivamente esistente nei dintorni di Rennes-le-Chateau. Negli anni '70, infatti, si scoprì ufficialmente che che una tomba identica per posizione, dimensioni, proporzioni e forma, persino per le rocce e la vegetazione che la circondano, esisteva realmente presso il villaggio francese di Arques (Aude), su uno dei colli visibili da Rennes-le-Chateau. La tomba, certamente antica (secondo i contadini del posto essa era sempre stata lì), in tempi recenti, fino agli anni '50, venne utilizzata come sepolcro privato da un certo Louis Lawrence di Boston. Comunque, oltre ai tre dipinti, non si sa esattamente cosa Saunière abbia scoperto a Parigi. E' certo che, al suo ritorno, proseguì i restauri della chiesa, riesumando, davanti all'altare, una lapide che copriva una cripta e una camera sepolcrale. In essa Saunière fece sollevare una lastra di pietra. Molti pensano che si trattasse della pietra tombale di Sigeberto IV (presunto figlio di Dagoberto II) morto nel 758. Sotto la lastra non ci sarebbe stata solo la tomba di Sigeberto IV, ma anche quelle dei suoi successori, Sigiberto V e Bera III (le pergamene dimostravano che la discendenza merovingia era proseguita dopo la morte di Dagoberto). Si dice che Saunière abbia anche trovato, in quella cripta, la vera tomba della marchesa Marie de Blanchefort, deceduta un secolo prima, per cui capì che all'interno del suo sepolcro, situato nel cimitero, non si trovavano i resti della nobildonna ma qualcos'altro. Sta di fatto che il prete fece immediatamente visita al cimitero locale del villaggio, in cui era collocata la presunta tomba di Marie. La lapide sulla pietra tombale era stata disegnata dall'abate Bigou, autore di una delle due pergamene. L'iscrizione sulla lapide era un perfetto anagramma del messaggio cifrato che alludeva a Dagoberto e Sion. Tra le altre cose vi era la famosa dicitura, senza apparente significato, del quadro di Poussin: "ET IN ARCADIA EGO". Stranamente Saunière cancellò e rimosse l'iscrizione dalla tomba (oggi sappiamo cosa c'era scritto solo perchè se ne conservò la trascrizione). Da quel momento da parroco di campagna, con un misero stipendio, divenne milionario. Il denaro cambiò il suo stile di vita e cambiò l'aspetto del villaggio. All'improvviso divenne un filantropo e spese milioni in opere pubbliche per il paese. Costruì strade e circondò il villaggio di mura, modernizzò il sistema idrico, fondò un giardino zoologico e inaugurò una magnifica biblioteca. Fece, inoltre, costruire una torre, la Torre Magdala, affacciata sullo strapiombo, ed edificò una ricca casa di campagna, Villa Bethania. Inoltre restaurò e decorò la chiesa in modo decisamente bizzarro. Sull'architrave del porticato pose l'iscrizione latina: "Terribilis est locus iste" ("Questo luogo è terribile") e davanti all'entrata eresse una statua orrenda raffigurante il demone Asmodeo, leggendario custode dei tesori del tempio di Gerusalemme. Nella VIII stazione della Via Crucis della chiesa raffigurò un bambino avvolto in una stoffa scozzese, mentre nella XIV impresse l'immagine del corpo di Gesù davanti al sepolcro sotto un cielo notturno, dominato dalla luna piena. Voleva indicare che il corpo viene trasportato fuori dal sepolcro anzichè al suo interno ? L'altare, inoltre, presentava due Gesù bambini posti l'uno di fronte all'altro, uno in braccio alla Vergine Maria e l'altro in braccio a S. Giuseppe. E' un riferimento alla fede dualista dei Catari ? O forse Gesù aveva un fratello gemello ? Potrebbe trattarsi di Giacomo il Giusto, fratello di Gesù divenuto, dopo la sua morte, capo supremo della chiesa cristiana di Gerusalemme, soppressa dai Romani dopo le rivolte giudaiche del 70 d.C. All'interno della chiesa si potevano ammirare anche numerose statue di santi che guardavano verso il pavimento: San Germana, San Rocco, Sant'Antonio l'Eremita, Sant'Antonio da Padova, San Luca ed, infine, Maria Maddalena, raffigurata con un teschio ai piedi e con un calice nelle mani. E' un semplice vaso con aromi per unguenti o è una rappresentazione del Santo Graal ? C'è chi ha fatto notare che la successione delle iniziali dei nomi dei santi, così come furono disposti dal curato, fornisce proprio la parola GRAAL (Germana, Rocco, Antonio, Antonio, Luca) con l'esclusione di M. Maddalena che sarebbe stata colei che lo possedeva. Saunière iniziò, in seguito, a ricevere molti ospiti illustri, come l'arciduca Giovanni d'Asburgo, cugino dell'Imperatore. Quando morì il superiore di Saunière il nuovo vescovo di Carcassonne tentò di chiedere conto al parroco del suo comportamento, ma egli rifiutò di spiegare l'origine della sua ricchezza. Venne accusato di simonìa e fu sospeso a divinis, ma si appellò al Vaticano che lo scagionò. Dopo la sospensione da parte del vescovo, per risolvere il problema fu inviato sul posto il nunzio pontificio, che era a quel tempo Angelo Roncalli, divenuto poi Papa con il nome di Giovanni XXIII. Egli era a conoscenza del segreto del curato? Il 17 gennaio del 1917 (stessa data che appariva sulla lapide della marchesa de Blanchefort, morta il 17 gennaio 1781) Saunière ebbe un attacco cardiaco. Il suo confessore sul letto di morte rifiutò di impartirgli l'estrema unzione, uscì dalla stanza visibilmente sconvolto e precipitò in uno stato depressivo che si protrasse per diverso tempo (venne misteriosamente assassinato molti anni dopo). Il 22 gennaio Saunière morì, così, senza conforti religiosi. Se il prete confessò, soltanto, di aver trovato un tesoro, o di aver scoperto le pergamene che attestavano il perpetuarsi della dinastia merovingia, per quale motivo non ricevette l'assoluzione e l'estrema unzione ?. La lettura del testamento di Saunière rivelò, comunque, che il parroco era morto squattrinato. Probabilmente il curato, prima di morire, aveva trasferito tutte le sue ricchezze a Marie Denarnaud, che aveva condiviso per anni il suo "segreto". Marie continuò a vivere agiatamente a Villa Bethania fino al 1946. Dopo la guerra il governo francese ordinò che tutta la valuta corrente venisse sostituita da nuove emissioni. Marie, pur di non giustificare l'origine delle sue ricchezze, bruciò moltissime banconote e vendette Villa Bethania. Promise al compratore, monsieur Corbu, che prima di morire gli avrebbe confidato un "segreto" che lo avrebbe reso ricco e potente e gli disse: "amico mio, stai camminando sull'oro e non lo sai ...". Purtroppo, nel 1953, Marie ebbe un ictus che la lasciò muta. Morì poco dopo, portando con sè il suo segreto (lo stesso Corbu morì nel 1968, in circostanze molto misteriose). Antichi segreti Il mistero di Rennes-le-Chateau e la fonte della ricchezza improvvisa di padre Saunière hanno dato vita a diverse teorie. La stessa origine del "presunto" tesoro può essere spiegata in diversi modi. Era il tesoro, con le leggendarie ricchezze del Tempio di Gerusalemme, che i Visigoti avevano depredato saccheggiando Roma nel 410 d.C.? Era il tesoro dei Catari, messo al sicuro all'ultimo momento dai pochi sopravvissuti all'assedio di Montségur ? Faceva parte del misterioso tesoro scomparso dei Templari ? Era l'espressione di un "segreto" storico di enorme importanza, di carattere religioso oltre che politico ? Può darsi che Saunière abbia scoperto un tesoro che aveva cambiato mani nel corso dei secoli, passando dal Tempio di Gerusalemme ai Romani, da questi ai Visigoti, e successivamente ai Merovingi e ai Catari. Se fosse così questo spiegherebbe perchè il tesoro apparteneva tanto a Dagoberto II quanto a Sion. I Visigoti, nella loro tempestosa avanzata in Europa, avevano saccheggiato Roma, sotto la guida di Alarico, nel 410 d.C. Il tesoro di cui si impossessarono avrebbe potuto includere il leggendario tesoro del Tempio di Gerusalemme, trafugato dai Romani dopo la rivolta ebraica del 70 d.C. (Come si può vedere nei bassorilievi dell'Arco di Tito a Roma il tesoro comprendeva la Menorah, l'immenso candel abro d'oro a sette braccia e, forse, la mitica Arca dell'Alleanza). I Catari, com'è noto, avevano fama di possedere qualcosa di sacro che aveva un valore immenso, come il Santo Graal. Tale leggenda indusse Richard Wagner a recarsi a Rennes-le-Chateau prima di comporre il Parsifal e negli anni '40 i militari tedeschi effettuarono diversi scavi nei dintorni. Ai tempi di Dagoberto, inoltre, il villaggio era una roccaforte dei Visigoti, e lo stesso Dagoberto aveva sposato una principessa visigota. Esistono, infatti, documenti che attestano di immense ricchezze ammassate e nascoste dal re merovingio nei dintorni del paese. C'era, infine, il problema del tesoro scomparso dei Templari. Si dice che il Gran Maestro Bertrand de Blanchefort avesse ordinato misteriosi scavi nei pressi, che vennero operati in clandestinità. Ma oltre ad un tesoro sembra chiaro che Saunière abbia scoperto anche un segreto di enorme importanza. Solo così si possono spiegare la visita dell'arciduca d'Asburgo, il rifiuto del confessore a somministrare l'unzione a Saunière moribondo, l'immenso interesse della Chiesa per la vicenda, l'impunità con cui Saunière aveva sfidato il suo vescovo e il successivo intervento assolutorio del Vaticano (possibile che il prete ricattasse il Vaticano ?). La stessa Marie, perpetua del curato, aveva promesso di rivelare un segreto che rendeva potenti. Secondo alcuni l'importanza storico-religiosa delle scoperte "casuali" di Saunière aveva il potere di cambiare il mondo. Queste scoperte potevano consistere addirittura nella rivelazione delle genealogie segrete della stirpe di Gesù. I documenti trovati, infatti, contenevano genealogie di personaggi risalenti all'epoca dei visigoti e dei merovingi e ancora più indietro. Potevano comprendere i discendenti dalla stirpe di Davide, che giungeva fino a Gesù e, da Gesù, ai suoi discendenti francesi. Il 6 novembre 1644 François Pierre, marchese di Blachefort e signore di Rennes-le-Château, aveva redatto un testamento e lo aveva fatto registrare il 23 novembre dello stesso anno dal notaio Captier di Esperaza. Nel testamento si parlava di un grande segreto. La marchesa Marie de Negri D'Ables era la vedova di François d'Hautpoul, Signore di Rennes e di Blanchefort, ed era discendente di Daboberto II, ultimo re merovingio. Non avendo eredi aveva deciso di affidare il segreto delle genealogie della sua famiglia (il "tesoro") all'abate Bigou, il quale le aveva custodite occultandole in documenti cifrati nascosti nella chiesa. Queste pergamene contenevano degli indizi di cui, probabilmente, padre Saunière scoprì la chiave. Questi indizi, infatti, lo condussero ad una tomba, nel cimitero presso il campanile della chiesa (la tomba di Marie de Blanchefort), che gli parve così importante da rendere necessario distruggere le iscrizioni che recava. La chiave che consentiva di scoprire il "segreto" o localizzare il "tesoro" era forse un codice che faceva ricorso ad espedienti di tipo geometrico, ad artifici matematici che riconducevano ad un punto preciso della fronte della pastorella del quadro di Poussin. La pastorella avrebbe potuto rappresentare Maria Maddalena, la moglie del buon Pastore Gesù. Nei Vangeli ella indicò agli apostoli la tomba vuota di Gesù, dopo aver scoperto che il suo corpo non c'era più. Nel quadro di Poussin stava dicendo che egli è lì, ed è morto. Qualcuno, infatti, ha avanzato l'ipotesi che i documenti trovati da Saunière contenessero la "prova incontrovertibile" che Gesù era ancora vivo nel 45 d.C. e che il suo corpo mummificato era sepolto nei dintorni del villaggio, fatto che spiegherebbe il messaggio cifrato occultato in una delle pergamene: "IL EST LA MORT" ("Egli è morto là").Antiche leggende Qualcuno ha anche avanzato l'idea che Padre Saunière abbia scoperto, scavando nella cripta sotterranea davanti all'altare della chiesa, un'antica lapide che indicava la sepoltura, in quel luogo, di una misteriosa "prostituta". Forse intuì che quella era la tomba effettiva della marchesa Marie, e che la misteriosa donna in questione era, in realtà, segretamente sepolta al posto di Marie, nel cimitero del paese, all'interno del sepolcro dal quale egli cancellò le iscrizioni. Perchè, infatti, Bigou aveva fatto seppellire la Marchesa d'Hautpoul nel cimitero, fuori dalla tomba di famiglia? E' impensabile che una Marchesa, appartenente alla discendenza merovingia, nella cui famiglia vi erano stati dei Templari, non fosse stata tumulata nella tomba di famiglia. Tutto faceva credere che essa fosse stata regolarmente sepolta in quella cripta (la tomba di famiglia), e che nel cimitero accanto alla chiesa ci fosse una "falsa" tomba della nobildonna. Sulla lapide nel cimitero vi era scritto, in un modo assai impreciso: "qui è sepolta la nobile Marie de Negri d'Ables signora d'Hautpul di Blanchefort, di sessantasette anni, deceduta il 17 gennaio 1781, riposa in pace". Vi erano, tuttavia, alcuni errori strani, che avrebbero dovuto suscitare l'indignazione dei familiari della marchesa. Difatti, la parte in cui era scritto "DAME D'HAUPOUL" era errata, perché il marito era D'HAUTPUL, e l'espressione riportata sulla lapide era usata, in quei tempi, come contrazione di HAUTEPOULE, letteralmente "alta gallina", come venivano definite le prostitute di alto bordo. Ma le parole più sconcertanti erano scritte nelle ultime due righe, "REQUIES CATIN PACE". In francese la parola "catin" significa letteralmente "puttana". Si ipotizza che tale scrittura sia stata voluta. Perché? Per celare quale segreto ? Saunière scoprì forse il luogo autentico di sepoltura di Maria Maddalena, la peccatrice "redenta" ? E' una tesi possibile. Tale ipotesi è supportata non solo dalle iscrizioni che erano sulle pietre tombali e che si richiamavano ad una donna dai facili costumi, ma anche da ciò che si può ammirare nella straordinaria Cattedrale di Chartres: in una delle vetrate policrome, risalente al 1200, si narra la storia di Maria Maddalena, ed in una scena è chiaramente raffigurato, oltre che scritto, il suo sbarco sulle coste francesi dove lei avrebbe continuato a diffondere la parola di Cristo, come avevano fatto tutti gli altri apostoli. A questo proposito occorre sottolineare che esiste una curiosa tradizione concernente il Razès a proposito di Maria Maddalena, il cui culto è attestato, e alla quale, com'è noto, è dedicata la chiesa di Rennes-Le-Chateau (consacrata nel 1059). Secondo tale tradizione il Cristo terreno avrebbe condotto una vita da uomo a tutti gli effetti, si sarebbe unito a M. Maddalena mettendo al mondo dei figli. Dopo la morte di Gesù e la persecuzione contro gli ebrei, la Maddalena avrebbe lasciato la Palestina sbarcando sulle coste occitane, forse a Marsiglia. Marsiglia era la più antica città della Gallia, un porto fondato dai fenici sei secoli prima di Gesù. In essa si trovava da tempo un'importante colonia di mercanti ebrei e intensi erano i rapporti commerciali tra il Levante e la costa meridionale della Gallia. E' quindi assolutamente plausibile che i seguaci di Gesù in fuga siano approdati proprio lì. In seguito M. Maddalena si sarebbe stabilita, con i figli, nel Razès, dove il suo culto è manifesto. Ci sono, infatti, testimonianze storiche riguardo la presenza in Gallia meridionale delle primissime generazioni di cristiani. Ireneo, vescovo di Lione nel II secolo d.C., racconta che il cristianesimo venne portato qui da seguaci di Gesù che lo avevano conosciuto mentre era ancora in vita. Ne avrebbero fatto parte Giuseppe d'Arimatea, Lazzaro, Marta e le "tre Marie". Lazzaro e la Maddalena avrebbero predicato nel tempio di Diana, provocando reazioni entusiate tra i locali. Secondo certe leggende medievali la Maddalena avrebbe portato con sè quello che i romanzi arturiani successivamente denominarono Sangreal ("Santo Graal"), strettatemente associato al sangue di Gesù, ovvero alla sua stirpe o lignaggio ("Sang real", il Sangue reale). Nei secoli successivi sarebbero avvenuti dei matrimoni dinastici con altre famiglie ebree e visigote del luogo, finchè, intorno al V secolo, una discendente di M. Maddalena sposò un re nordico, Clodion, re dei Franchi Sicambri e padre di Meroveo. Così Meroveo, nato da due padri, cioè di duplice origine (nordica ed ebraica) sarebbe stato il capostipite della dinastia merovingia, costituita da re maghi e taumaturghi, e della stirpe di Gesù, sacra come nessun'altra. Ciò spiegherebbe il patto stipulato in seguito tra la Chiesa di Roma e re Clodoveo, un logico patto con i discendenti diretti di Gesù, e darebbe un senso all'ingiustificata santificazione postuma di Daboberto II (l'assassinio del re sarebbe stato considerato dalla Chiesa non soltanto un regicidio, ma anche una forma di "deicidio"). L'ipotesi è, quindi, che il "tesoro" dei catari, conservato a Rennes-Le-Chateau o in qualche altro luogo del Razès, costituisca la prova dell'esistenza di una stirpe regale merovingica, dinastia davidica, divina e autentica, soppiantata dagli usurpatori Carolingi e Capetingi. Di questa stirpe sacra i catari sarebbero stati a conoscenza. Detenevano, quindi, un segreto che avrebbe potuto mettere in serio pericolo i principi del cattolicesimo e le fondamenta di legittimità della Chiesa cattolica. Essi, forse, erano in possesso delle pergamene che vennero nascoste a Rennes-le-chateau, preziosi documenti che i 4 "perfetti", transfughi da Montségur durante l'assedio, riuscirono a portare in salvo. Se si analizzano, poi, tutti i testi del Graal e tutto ciò che concerne Lancillotto del Lago (Lancelot du Lac), altro personaggio chiave del ciclo, si arriva a concludere che il "tesoro" dei catari non sarebbe altro che la conoscenza della stirpe sacra e mistica del Graal, risalente al Re David attraverso Giuseppe d'Arimatea, Maria Maddalena e Gesù, e culminata in Lancillotto del Lago che sarebbe in realtà San Frambaut, misterioso eremita dei tempi merovingi.
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